sabato 28 luglio 2012

Riflessioni sulle differenze tra restauro architettonico e restauro archeologico


Nella prassi del restauro si intervenie sempre su un manufatto che ha perduto sia la sua forma sia la
sua funzione, o destinazione d'uso.
Ciò pone problemi differenti rispetto ad un edificio architettonico che mantiene sia l’una che l’altra”. 
Per queste sue specificità il restauro delle antichità offre notevoli potenzialità progettuali e di conseguenza occasioni di dibattito critico
La visione dell’archeologo e dell’architetto non sono sempre omogenee, partendo da esperienze ed esigenze differenti.
All’archeologo spetta il processo conoscitivo di acquisizione dei dati e di comprensione del processo storico di trasformazione di un’area.
Queste conoscenze devono essere trasmesse all’architetto progettista, cui spetta di tradurre in linguaggio architettonico i diversi aspetti.
Anche in questo caso c’è la necessità di mediare tra varie esigenze: da un lato quella di rendere conto dell’intera vicenda storica susseguitasi in un’area,con le sue diverse utilizzazioni e tipologie edilizie;dall’altro quella di garantire la leggibilità e comprensibilità delle principali fasi monumentali.
Le posizioni ideologiche tradizionali della ‘pura conservazione’e della ‘manutenzione-ripristino’,si dovrebbero accompaganre ad un orientamento più equilibrato ‘critico-conservativo’ che tiene conto della relatività di ciascun intervento, avendo l’obiettivo di conservare il manufatto antico nelle condizioni ottimali per il godimento delle generazioni future; è un approccio quest’ultimo che richiede approfondimenti e soluzioni progettuali contestuali e non risulta pertanto condizionato da regole precostituite.
Da altra parte un tipo di restauro essenzialmente conservativo delle caratteristiche attuali, che mette perciò in risalto il "vuoto", ovvero le lacune materiche provocate dal tempo e lo stato di conservazione attuale, ha una chiave di lettura prettamente archeologica che limita la comprensibilità del monumento. E' necessario integrare queste lacune, rendendo leggibile e fruibile l'architettura, facendo convivere felicemente l’antico con il moderno.

domenica 13 maggio 2012

Tecniche di conservazione - Osservazioni preliminari

di Ottavia Pittaluga



Osservazioni preliminari:

Manto di copertura in coppi:  Tipo di degrado:
  •            rottura e scivolamento dei coppi, presenza di muschi e licheni. Cause: mancata manutenzione


Muratura in mattoni pieni Tipo di degrado:
  •       Sfaldamento dei mattoni, degrado dei giunti di malta, perdita totale dei giunti di malta. Cause: Umidità da risalità e infiltrazione, agenti atmosferici e inquinanti
  •        Erosione e polverizzazione dei mattoni,  perdita dei letti di malta . Cause: Umidità di risalita, agenti atmosferici
  •        Lacune di materiale. Cause: agenti atmosferici e inquinanti, azioni meccaniche
  •        Depositi polverulenti, patina scura. Causa: deposito per condensa di particellato atmosferico
  •        Diffusa presenza di umidità. Cause:  agenti atmosferici, per colazione
Intonaco esterno in malta di calce Tipo di degrado:
  • distacco, affioramento paramento in cotto, macchie umidità, sfarinamento. Cause: umidità ascendente, per risalita capillare
Rattoppo cementizio Tipo di degrado:
  • degrado dell'intonaco e del paramento in cotto. Causa: incompatibilità con il supporto
Tamponamento con mattoni a vista Tipo di degrado:
  • Perdita dei giunti di malta, depositi polverulenti. Cause: errata tecnica costruttiva, mancata manutenzione
Elementi di marmo e pietra Tipo di degrado:
  • Degrado generalizzato, depositi polverulenti, muschio, esfogliazioni, sballottamenti, rigonfiamenti, scogliature, patina scura, muffe. Cause: mancata manutenzione, esposizione agenti atmosferici, inquinanti
Manufatti in legno Tipo di degrado:
  • Marcescenza, rottura, sverniciatura, cedimenti, muffe. Cause: umidità, agenti atmosferici, mancata manutenzione


giovedì 22 marzo 2012

Le facciate dipinte di Genova

La nascita del fenomeno delle facciate dipinte è da collocarsi nei primi anni del Cinquecento, quando Genova si trasforma nel primo centro creditizio internazionale. Gli ingenti capitali accumulati nei quattro secoli antecedenti, rischiando di subire il processo l'inflazionistico indotto dallo stravolgimento delle nuove supremazie europee, trovano impiego negli investimenti immobiliari che vedono la costruzione di palazzi ex-novo, ristrutturazioni e abbellimenti delle antiche sedi familiari, nella capitalizzazione e nella miglioria delle proprietà fondiarie, nei suburbi, nelle riviere e nelle campagne periferiche con la realizzazione di prestigiose ville.
Con la nascita del dogato biennale (1339) inizia anche un intenso processo di trasformazione dell'architettura cittadina. A distanza di pochi decenni, con le parole di Charles De Brossis (1739), Genova si presenta "tutta dipinta a fresco" e le sue vie sono "immensi scenari d'opera". De Brossis fece anche riferimento alla problematica dovuta alla ristrettezza delle strade genovesi, che non permettono a Genova di mostrare quanto vale a causa della cattiva distribuzione urbanistica. E' facile infatti imbattersi in palazzi magnifici, costretti e sacrificati in strette vie che non permettono al visitatore di avere un apprezzabile cono di visibilità, ma anzi sia frequente dover cercare uno scorcio alzando lo sguardo per poter intravedere alcuni particolari architettonici e artistici di notevole importanza. Vicente Blasco Ibáñez (1896) descrive Genova come "la città dei contrasti, dei grandi palazzi e dei miseri caruggi ... Ad eccezione di mezza dozzina di grandi strade che, tracciate a caso, costituiscono la spina dorsale della città, le altre vie si chiamano "vicoli" e ve ne sono di quelli che sono vere scale per le quali non si può transitare senza agguantarsi ad una rugginosa ringhiera di ferro."


Principali frescanti dei quali sono pervenute le opere a Genova (in aggiornamento)


Joannes de Lisandria
Gaspar de Jaqua
X ophorus de torre
F.cus de Ferraris
D.cus de tirrenia
Cardo de mediolano
Jacobus de Ruisecho
Galeotus de castellatio
F.cus de papia detto grasso
Martino de S.to Lupo
Jullianus brenta
Bas.us de canonicha
Jo. de barbazelata
Ant.us de lavagnia
Nic.s Corsus
Lucas de novaria
Jacobus de morinello
Bernardinus de borlasca
Jo. de papia detto grasso
Bas.lus de montaldo
Laurius de faxiolo
Corradus de odono
Jacobus mascheta
Jo. de regis de papia
Bertholinus de papia
Lodisius de nicia
Marcus sorana
Panthalinus orengerius
F.cus spagnolus
Albertus de como
Bart.us de como 
Jo. de como
F.cus de recroxio
Bernardinus de montorfanus
Bap.ta grassus
Laurius sorana
Leonardus de laguila
Petrus de Gio
Nicolaus de canepa
Stephanus de lisandria
Urbanus de Ferraris
Bap.ta de Ferraris
Hieronymus de Ferraris
Georgius Brenta
Luca de S.to Lupo
Andreas de Morinello
Bap.ta de Morinello
Bap.ta de papia grasso
Gregorius de odono
Ant.s de odono
Ang.s de bumbelis
F.cus Grimaldus
Berd.us faxiolus
Andreas noxilias
Michael de passano
F.cus de Semerio
Benedictus masochus
Jacobus brizonus
Bap.ta de cunio
Ant.s de rocca
Petrus de caminata
Ag.s de Calvus de Santa Agata
F.cus de cremona
Zugnus de como

sabato 17 marzo 2012

Palazzo Cambiaso Pallavicini, Via Garibaldi, Genova

di Ottavia Pittaluga 

La via Aurea, via Garibaldi, ovvero Strada Nuova.
Foto di Claus Thoden 2011
La strada fu edificata nel 1550 da Bernardino Cantone per volere dell'aristocrazia locale, che intendeva avvicinare il proprio quartiere residenziale al mare, spostandosi dalla collina di Castelletto al centro cittadino.
Durante questa epoca che va dal 1536 al 1640 Genova era la maggior potenza economica del Mediterraneo, infatti il potere economico dei banchieri e degli armatori genovesi era egemone nell'Europa di Carlo V e Filippo II.
Inizialmente chiamata Strada Maggiore confrontata alle strette vie genovesi, fu poi nominata Strada Nuova e nell'Ottocento fu rinominata Via Aurea e soprannominata Rue de Rois dalla scrittrice francese Madame de Stael per via della magnificenza dei Palazzi che si affacciano sulla strada.
Fu dedicata a Garibaldi nel 1882.
Via Garibaldi è una delle strade più interessanti al mondo dal punto di vista architettonico, ospitando un'altissima concentrazione di palazzi cosidetti dei Rolli degli alloggiamenti pubblici, ovvero designati dalla Repubblica di Genova a ospitare illustri forestieri, re, ambasciatori, governatori, cardinali e papi con il loro seguito. A seconda del grado di importanza di bellezza e di ampiezza i palazzi designati erano divisi in categorie per poter ospitare forestieri a seconda della loro importanza e diventava onore e onere del proprietario occuparsi del soggiorno di personaggi illustri. I palazzi dei Rolli sono  inseriti dall'Unesco come Patrimonio dell'Umanità. Via Garibaldi ospita per tutta la sua lunghezza una decina dei palazzi più belli di Italia costruiti nella seconda metà del Cinquecento.




Palazzo Cambiaso Pallavicini
civ. 1
A sinistra Palazzo Cambiaso Pallavicini visto da Piazza Fontane Marose
Foto di Cercamon 2004




Prospetto di Rubens
Anno di fondazione 1558 
Primo proprietario: Agostino Pallavicini


Costruito dall' Arch. Bernardino Cantone, allievo di Galeazzo Alessi di cui riprende i motivi già sviluppati per Palazzo Marino di Milano, Palazzo Cambiaso Pallavicini fu il primo palazzo di Via Garibaldi.
Il prospetto è privo sovrabbondanze ornamentali ad esclusione del bugnato a tutta altezza, delle fasce del marcapiano a decorazione  a meandro e dei timpani alla greca che incorniciano le finestre dei piani nobili.
Sulla facciata troviamo anche un'edicola mariana del 1727.
All'interno invece troviamo spazi condizionati dalla relativa ristrettezza dell'area edificabile acquistata da Agostino Pallavicino nel 1558.
Piano terra e primo piano hanno planimetrie piante quasi del tutto coincidenti, pur nel mutare delle funzioni degli spazi:  all'atrio corrisponde il grande salone del piano nobile e su entrambi si aprono quattro salotti, mentre sui due livelli del loggiato del cortile si articolano gli altri ambienti.
L'atrio si apre sul cortile attraverso il diaframma costituito dai pilastri del loggiato; pilastri lisci,  tuscanici, formati con la sovrapposizione di una lesena. Nei due ordini del cortile, tre arcate su ogni lato, con pilastri angolari, sono sorrette da colonne piuttosto sottili caratterizzate da un alto piedistallo. Un semplice profilo segna le arcate, mentre il secondo ordine è concluso da una cornice priva di decorazioni. Tutti questi elementi sottolineano la propensione dell'esecutore per una definizione grafica e lineare dello spazio: indubbiamente una risposta al gusto del committente stesso, gusto ribadito nella scelta della decorazione pittorica, legato ad una tendenza classicista. 
L'impianto scenico degli affreschi a soffitto  fu commissionato alla bottega dei due fratelli Semino intorno al 1565. Ottavio Semino dipinse il Concilio degli Dei che decora il salone principale. Nei due salotti ai lati del portico emergono i dipinti Il Ratto delle Sabine e Storie di Alessandro. La pinacoteca contiene opere di Van Dick, Caracci, Tintoretto, Andrea de Ferrari, Benedetto Castiglione e Rembrant.













giovedì 15 marzo 2012

Breve storia del restauro conservativo a Genova

di Ottavia Pittaluga


Nascita della Conservazione Architettonica a Genova
Alla fine del '400 si sviluppa l'investimento del collezionismo con la diffusione della pittura ad olio.
Si scoprì che i quadri ad olio (generalmente gli oli utilizzati erano oli di linonoceo papavero), sebbene di costi superiori avevano una longevità superiore alle tempere, mischiate ad acqua e albumi.
Iniziò in questo periodo la conservazione dei beni artistici e architettonici.
In Italia il collezionismo prende piede nelle città di Genova, Firenze e Roma.
Genova era governata dall' elite delle famiglie nobili, che generalmente gestivano i loro affari in operazioni finanziare, soprattutto di carattere internazionale (basti pensare al finanziamento che fu concesso dal Banco di San Giorgio alla Regina di Spagna per la spedizione di Cristoforo Colombo).
Queste famiglie tra le quali gli Spinola, gli Andrea Doria possedevano uno dei più grandi patrimoni immobiliari Europei.
Tra i nobili proprietari di immobili, per conseguenza dello sviluppo urbano ed economico della città, prese piede la tendenza/necessità di costruire sul costruito. I palazzi medioevali vennero ampliati, rimodernati e trasformati in palazzi rinascimentali, crebbero in altezza intasando via via gli spazi liberi del tessuto urbano.
La prassi del costruire sul costruito porta da un lato ad avere oggi una città che oggi è il nucleo antico più vasto d'Europa
Le case a schiera medioevali
Nel centro storico di Genova si leggono ancora molti esempi di case a schiera di origine medioevale di cui si è conservato l'aspetto antico. Ogni cellula con accesso autonomo era probabilmente in origine dotata di un affaccio sul percorso pubblico e di un affaccio sul cortile interno.
Le case-torre
L'organismo edilizio muta con le esigenza della cittadinanza: la concezione strutturale non cambia, i setti portanti rimangono tali e sono individuabile tuttora con facilità, ma gli edifici si trasformano: le case traliccio si pietrificano, gli elementi a schiera medioevali si innalzano di tre o quattro piani, i cortili interni si riducono in angusti cavedi, le nuove murature sono in pietra a spacco e sostituiscono o affiancano le pareti in mattoni dei piani superiori medioevali.
Le logge medioevali
Gli edifici medievali genovesi sono caratterizzati da un sistema strutturale a setti a cui si affiancano sistemi di pilastri e archi impiegati ai piani terra per la costruzione di logge e porticati.
La loggia della Genova medioevale rivestiva un significato fondamentale nella vita cittadina.
Tutti gli edifici erano aperti al piano terra sul percorso pubblico tramite una loggia voltata sempre molto alta, ad uno o due fornici, indifferentemente ad arco a tutto sesto o a sesto acuto.
La struttura muraria era composta da pietra grigia di Promontorio e marmo bianco ed era frequente soprattutto nelle logge più antiche l'uso di materiali di reimpiego classici come i capitelli, le cornici e le colonne già lavorate. La pietra squadrata era solitamente usata ai piani inferiori, mentre nei piani superiori era prediletto l'uso del mattone, più economico e strutturalmente più leggero, impiegato anche per le volte degli archetti pensili. Attualmente le logge medioevali sono parzialmente leggibili sotto spessi strati di intonaco infatti furono totalmente tamponate da murature aggiunte in epoche successive. Logge e portici costituiscono un segno di come la città medioevale sfruttasse gli spazi aperti al livello della strada per rendere più arioso e vivibile il fitto intreccio viario di Genova.

martedì 24 gennaio 2012

Arte Rinascimentale

di Ottavia Pittaluga 


Nel Rinascimento vige la filosofia dell' antropometrismo.
Figlia di questa dottrina è la prospettiva, nome derivato dalla perspectiva naturalis, ovvero l'ottica stessa, che fu introdotta nell'arte nell'accezione oggi riconosciuta da Tommaso di Mone Cassai, detto il Masaccio e teorizzata e messa per iscritto nel De Pictura da Leon Battista Alberti, opera dedicata a Filippo Brunelleschi, quale creditore della scoperta della prospettiva lineare geometrica.
"pittura non è altro che intersecazione della piramide visiva, seconda data distanza, posto il 
centro e costituiti i lumi, in una certa  superficie con linee e colori artificiosamente 
rappresentata" (Alberti, 1436)
L'Umanesimo influisce sulle arti e sulla letteratura.
Sono molti i tributi alla cultura antica artistica e letteraria presenti nelle opere degli artisti rinascimentali


L'Uomo al centro dell'universo
Domenico di Michelino, allievo di Beato Angelico, dipinge la rinascita della cultura con l'allegoria Dantesca del Sommo poeta che mostra la sua opera. La scena raffigura il purgatorio alle spalle di Alighieri, l'inferno alla sinistra, Firenze ben riconoscibile alla destra, con le architetture ben riconoscibili alla destra e il paradiso diviso nei sette cieli.







Citazioni dell'antichità
Il 1401 è la data simbolo del Rinascimento, in quest'anno è stato bandito il concorso per la realizzazione delle formelle quadrilobate che completavano la porta nord del Battistero di Firenze e il tema a cui dovevano attenersi era il Sacrificio di Isacco raffigurato con la tecnica dello stiacciato in bronzo. La competizione risultò un confronto irrisolto tra Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, entrambi vincitori a pari merito, tuttavia Brunelleschi si ritirò e le due porte del Battistero furono commissionate a Ghiberti, che impiegò circa 50 anni a completarle. La competizione delle formelle di porta Paradiso diventò simbolo della divisione delle correnti artistiche tardo gotica e rinascimentale.
Ghiberti, legato alla tradizione gotica internazionale, divise la scena in due zone, quella raffigurante il sacrificio, armonioso e pacato, e quella raffigurante i due servitori con l'asino nell'atto di conversare.
Brunelleschi divise la scena orizzontalmente e triangolarmente occupando tutto lo spazio disponibile e fuoriuscendo dalla cornice.
L'atto del sacrificio è raffigurato nella sua violenza. 
Troviamo una citazione dello Spinario, la statua greca  risalente al I secolo a.C
Andrea Mantegna, artista formatosi nella bottega di un archeologo, al quale dovrà la sua approfondita conoscenza della storia dell'arte antica e quindi l'approccio allo stile rinascimentale, nelle sue opere e nel particolare coi suoi meravigliosi San Sebastiano, dedica una meticolosità sorprendente alla rappresentazione di elementi architettonici e scultorei di età classica.
E a mio parere un chiaro tributo alle Νεφέλαι di Aristofane invece sono le nuvole antropomorfizzate dei dipinti, una leggenda quella delle nuvole animate, che ha preso piede soprattutto nel medioevo con la tradizione delle creature fantastiche e mostruose e in arte già presentate da Giotto. 





I volumi e il chiaroscuro
La Cappella Brancacci, affrescata da Masolino e Masaccio, è una delle opere più rappresentative del Primo Rinascinamento. Si narra che Masolino lavorando a stretto contatto con il più giovane Masaccio, cercasse di imitarne lo stile, non raggiungendo mai però i livelli del collega, di formazione stilistica così diversa.
Nel pagamento del tributo di San Pietro la prospettiva e le ombre sono le più grandi innovazioni di Masaccio. I corpi degli apostoli occupano volumi realistici e i loro volti hanno connotazioni uniche e mimiche facciali espressive.


Nella Cacciata dal Paradiso, Masaccio enfatizza l'espressività dei volti di Adamo ed Eva ricordando le προσῶποἱ o  personae, le maschere greco-romane.
Il dipinto si trova sul pilastro della cappella specularmente alla Tentazione di Masolino, dove le figure dei Progenitori sono forme leggere e sinuose, la luce sui corpi è morbida e i loro visi sereni.
In Masaccio la sagoma dei corpi è scolpita dai contrasti di luce; l'anatomia è precisa  e ricorda le figure classiche del Laooconte in Adamo e della Venere Pudica romana in Eva.








Lo spazio a servizio dell'Uomo
Andrea del Castagno, con il ciclo degli Uomini e delle Donne Illustri, una serie di affreschi dipinti nel 1448 a Villa Carducci a Firenze, fa dominare lo spazio alla figura umana. I grandi uomini, rappresentati con una notevole monumentalità (250cm in altezza) sono proiettati al di fuori delle cornici architettoniche.



lunedì 23 gennaio 2012

Chiesa e oratorio di San Filippo Neri, Genova

Studio di restauro conservativo del tetto, dei prospetti sui cavedii e di porzioni dei locali della sacrestia e dell’aula dell’oratorio. 

Localizzazione: Genova – via Lomellini 12
Descrizione: La chiesa, il convento e l’oratorio, nati in tempi differenti, ma con unitarietà d’intenti, accentuano nel tratto terminale della via il carattere monumentale della strada.
Il lascito di Camillo Pallavicini, deceduto a Palermo nel 1644, costituisce la base finanziaria utilizzata per la costruzione del complesso. Al 1674 si fa risalire la data di inizio dei lavori del nuovo edificio.
Le fasi costruttive proseguono con acquisizioni e demolizioni di case per far posto al nascente e più vasto complesso. Nel 1712, si avviano i lavori di decorazione nella struttura terminata. Sulla paternità del progetto viene fatto il nome di Pietro Antonio Corradi. È del 1721 la consacrazione della chiesa, mentre nel 1738 viene realizzata la facciata e nel 1746 si colloca la realizzazione dell’oratorio e del convento soprastante.
Nel 1860, il complesso, a causa delle leggi di espropriazione delle congregazioni religiose passò al Demanio, nel 1867 al Comune e l’anno successivo venne riassegnato in uso ai padri filippini. Attualmente, chiesa, oratorio e convento sono in parte di proprietà comunale in parte della Congregazione.
L’interno della chiesa è formato da un’aula con altissima volta a botte (m 19,60) aperta da due lunette per parte e conclusa dall’abside. Sui lati, si aprono due cappelle entro un arcone fiancheggiato da due archi minori, il tutto arricchito da un apparato decorativo ad affresco, stucchi dorati e marmi con la presenza costante della stella a otto punte, emblema araldico della famiglia di San Filippo Neri e simbolo dei Filippini. Tutti gli altri elementi, le cappelle riccamente decorate, il presbiterio, il pavimento composto di marmi multicolori, gli arredi lignei, un prezioso organo dei Serassi contribuiscono a creare una scenografia tipicamente barocca. L’oratorio si sviluppa a pianta ellittica utilizzando, come la vicina chiesa, un ricco apparato a stucco dorato, quadrature dipinte, marmi e complementi lignei. (MM-GP)
Descrizione fornita dalla Soprintendenza
Oggetto del restauro:


  • finestre lignee del vuoto del piano terra e primo piano
  • tetto in abbaini d'ardesia



Gli interventi prevedono:

1 Demolizione/rimozione manto in abbadini.

- rimozione parziale del manto in abbadini di ardesia sulla falda del tetto in corrispondenza delle risvolte sui corpi di fabbrica (lato chiesa e lato oratorio), comprese le lastre verticali che proteggono le risvolte;
- scrostatura eventuale delle porzioni d’intonaco sulle pareti verticali delle risvolte;
- verifica degli elementi che costituiscono le risvolte impermeabili, della loro funzionalità e del loro stato conservativo, verifica dello stato di usura del tavolato, eventuale rimozione e sostituzione con tavole identiche per qualità e dimensione;
- spazzolatura e idrolavaggio accurati dei supporti;
- la ditta dovrà costantemente tenere a disposizione teloni impermeabili da utilizzare
a protezione del tetto nel caso di precipitazioni piovose;
- deposito a terra degli abbadini d’ardesia per il successivo riuso;
- la precisa consistenza dei manufatti descritti verrà puntualmente definita in corso
d’opera dopo l’installazione dei ponteggi.

2 Demolizione intonaci deteriorati.
Scrostatura dello strato marcescente, fessurato o tendente al distacco degli intonaci in malta a base calce o altre componenti dei muri del cavedio, sino al raggiungimento delle porzioni sane sottostanti, nel caso di marcescenza totale dell’intonaco raggiungimento del pietrame/mattone pieno della muratura.
Spazzolatura e idrolavaggio accurati dei vari supporti.

3  Rimozione della membrana ardesiata.
Rimozione della membrana bituminosa ardesiata costituente strato impermeabile di protezione della falda del piccolo corpo che permette l’accesso al cavedio lato oratorio.

4 Smontaggio finestre
Smontaggio delle due finestre lignee della saletta di riunione e del locale retrostante l’oratorio, con tutti i riguardi del caso, fotografia e numerazione di tutte le componenti, deposito a terra in luogo protetto per la definitiva asportazione del restauratore.
Protezione delle aperture con teloni di plastica al fine di impedire infiltrazioni di acque piovane nella sacrestia.


Opere edilizie:
1 Manto in abbadini d’ardesia
Rifacimento delle risvolte impermeabili con l’uso di converse in rame o altro materiale dichiarato idoneo dalla Soprintendenza con la formazione di scanalatura sull’intonaco della parete verticale di circa cm 30 dal colmo (lato chiesa) o dall’imposta della falda (lato oratorio).


Rifacimento degli intonaci con malte a base calce sulle pareti dei muri.
Si richiede la fornitura di sacchi di premiscelato Macrocox della Peter Cox.
Posa delle lastre di ardesia verticali a protezione delle risvolte recuperando quelle già rimosse.
Posa degli abbadini di ardesia rimossi e sigillatura di calce bianca.
Realizzazione di nuovo manto in abbadini di ardesia sulla falda del piccolo corpo di accesso al cavedio, previa verifica ed eventuale rifacimento del massetto delle pendenze con malta di calce e cemento, con le seguenti caratteristiche:
- fornitura e posa del manto in abbadini di ardesia delle dimensioni di 57x40x1,0 cm
di prima scelta, fissati a calce bianca, comprese le risvolte impermeabili sulle pareti verticali già descritte ed eventuali riprese d’intonaci e tinte.





domenica 22 gennaio 2012

I teorici del Restauro Architettonico

EUGENE VIOLLET-LE-DUC

teorico del restauro stilistico, autore di opere quali Dictionnaire raisonné de l'architecture française du XIe au XVIe siècle (Parigi 1854-68), Dictionnaire raisonné du mobilier français de l'époque carlovingienne à la Renaissance (1858-75), Entretiens sur l'architecture (Parigi, 1863).
Architetto, storico, disegnatore, massimo trattatista dell’architettura del suo secolo e di quella gotica,  rifiuta gli insegnamenti della Beaux  Arts  e la sua formazione avviene  in atelier di architetti francesi.
Attento osservatore e abile disegnatore  studia l’architettura  gotica e le tecniche costruttive direttamente  sul campo,  durante i  cantieri di restauro che gli vengono affidati.
La sua conoscenza dell’arte medioevale è apprezzabile  nel suo dizionario  sull’architettura francese dall’XI al XVI secolo, che pubblica tra il 1854 e il 1868.
La sua carriera di architetto restauratore si realizza  in tutto il lungo  periodo in cui il Merimeé  è ispettore generale dei Monumenti  e, insieme danno un eccezionale impulso al restauro, almeno dal punto di vista  teorico e  delle conoscenze storico-strutturali  degli edifici.
Per Violet Le Duc  “restaurare” significa   “ripristinare un edificio in uno stato di completezza che  può  non  essere mai esistito in un dato momento .... Restauro vuol dire contaminazione del presente con le spoglie del passato”
-   ma afferma anche che: “ Se l’architetto incaricato di un restauro deve conoscere le forme e  gli stili di quell’edificio  e la scuola dalla quale proviene, egli  deve meglio ancora, se possibile, conoscere la sua struttura, la sua anatomia, il suo temperamento”
Tuttavia si lascia spesso prendere la mano dalle ricostruzioni  e  completamenti in stile su edifici e monumenti, anche quelli mai portati a termine dall’artista originario  perchè è suo convincimento che  “...  quando si debbono aggiungere parti nuove, anche se non mai esistite, occorre mettersi al posto dell’architetto primitivo e supporre che cosa farebbe lui se tornasse al mondo e se avesse innanzi lo stesso problema.”
Le  Duc si  oppone con risolutezza agli sventramenti urbanistici che si vanno a realizzare sul territorio nazionale  sulla linea della nuova urbanistica Haussmaniana  che  portano alla distruzione di tanti  insigni  monumenti.
Tra gli aspetti metodologici positivi del suo lavorare nel restauro si sottolinea  l’attenzione sulla necessità, prima di cominciare un lavoro di restauro, di analizzare esattamente età e carattere di ogni singola parte del monumento, raccogliendo appunti scritti, documenti inconfutabili, rilievi grafici e, addirittura fotografici. L’importanza data da Le Duc alla  fotografia nella fase preparatoria del restauro è notevole, sia come documento giustificativo del restauro eseguito sia come elemento di studio: “.. in quanto spesso si riesce a scoprire su di essa qualche testimonianza che non si è riusciti a vedere direttamente sul monumento.”




Il  Restauro   Romantico   in    Inghilterra


Nella società vittoriana  dell’Inghilterra del XIX secolo,  caratterizzata  da uno  scarso interesse e da una profonda sfiducia  per il presente,  si guarda indietro e si anela  ad  una idilliaca quanto improbabile società medievale. Qui il  revival  gotico trova il suo senso e la sua origine: esso, infatti, non è concepito come la preferenza per uno stile quanto come il desiderio di evocare un’atmosfera. Il gotico rappresenta per gli inglesi la libertà naturale contro la costrizione della civiltà, l’atteggiamento contemplativo e di diniego contrapposto
alle attività etiche, sociali, economiche, ecc.  In questo atteggiamento nei confronti della società moderna  si  aggiunge una profonda  contemplazione e una predilezione delle rovine,  che rappresentano il trionfo del tempo sulle attività dell’uomo. La  poetica delle rovine e, in particolare di quelle gotiche, trova un fertile terreno e,  ben presto  si finisce anche con il costruirne (nei giardini, nei parchi): in Inghilterra a partire dal 1750 di giardini all’inglese, in cui contrariamente  a quelli italiani, predomina l’irregolarità, lo spazio infinito, le forme libere, a cui si accompagnano le rovine, originarie o costruite ex novo.




JOHN RUSKIN  (1819 – 1900)


Sociologo, scrittore  e critico letterario  londinese  ha una visione  ha  una  contemplazione mistica dell’opera d’arte che viene considerata appartenente unicamente al suo creatore per cui:  possiamo goderne la sua bellezza e anche la sua rovina ma non abbiamo il diritto  di toccarla.
Conoscere e conservare i beni culturali del passato è un modo per contestare l’insensibilità, l’indifferenza, l’ottundimento, dell’uomo moderno. Il traviamento del gusto è una diretta conseguenza della civiltà industriale che ha separato l’uomo dal prodotto del proprio lavoro ed ha scisso l’arte dalla società. 
Convinto che la dignità dell’opera è anche nella sua rovina in quanto anche nell’aspetto pittoresco vi è un valore d’arte,  afferma che   bisogna accettare la sua fine perchè è un fenomeno naturale;
Il restauro per Ruskin è visto come la distruzione più completa che possa subire un edificio: è quindi  contrario a qualsiasi intervento di restauro e  accetta al più interventi di manutenzione. Poichè il restauro è distruzione di ogni elemento di testimonianza storica autentica è necessario proteggere per non restaurare.
 Non ammette completamenti di alcun genere nelle opere d’arte come nei monumenti, nè integrazioni di parti lacunose.










Definizione  di  una  scuola  moderna   del  restauro: Boito e Giovannoni  in  Italia 


CAMILLO BOITO    (1836 – 1914)


Architetto, docente di storia dell’architettura, scrittore e trattatista assume una posizione intermedia tra il Restauro Romantico di Ruskin e  il restauro stilistico di Violet Le Duc.  Del primo  infatti non condivide di accettare la fine di un monumento così come non si accetta la  fine di un uomo senza prima aver tentato  ogni cura per salvarlo, condanna  il restauro stilistico per aver portato i restauratori  sulla via della falsificazione e della menzogna.


Per il Boito  bisogna CONSERVARE più che RESTAURARE  e i  compimenti se indispensabili, devono portare il segno della propria epoca.  Per paradosso preferisce  i   RESTAURI MALFATTI  (facilmente individuabili)   ai   RESTAURI FATTI BENE.
Riguardo alla prassi di rimuovere parti successive  sottolinea che non sempre le parti  più antiche devono vincere sulle parti aggiunte le quali possono avere una loro intrinseca bellezza.


-     Convinto che nei monumenti si potevano individuare tre  qualità dominanti : apparenza   archeologica,  pittorica   e bellezza architettonica, distingue tre tipi di restauro:


Restauro archeologico       (per le antichità)
Restauro pittorico              (per il  Medioevo)
Restauro architettonico    (dal rinascimento in poi)


 



GUSTAVO GIOVANNONI    (1873 – 1947)


Architetto, titolare della cattedra di  Architettura della scuola di Ingegneria  di Roma,  fu tra i fondatori della Nuova Scuola Superiore di Architettura  a Roma nel 1920, la prima in Italia. Fece rientrare tra gli insegnamenti fondamentali di detta scuola:


b) il rilievo dei monumenti;
c) la storia dell’architettura;
d) i caratteri stilistici dei monumenti;
e) il restauro dei monumenti.




Il  Giovannoni legittimo continuatore del Boito, diede il suo contributo attivo per definire il più cauto, moderno e scientifico concetto del restauro.  Tale restauro, detto scientifico, si limita a riparare, consolidare, e conservare un monumento rispettando di esso ogni parte che rivesta carattere d’arte o di semplice documento.
La definizione di monumento,  secondo  il  Giovannoni,    deve  comprendere  qualunque costruzione del passato, anche modesta che abbia valore di arte e di storica testimonianza. e non solo “ L’opera architettonica grandiosa che segna un caposaldo  nella storia dell’architettura  e della civiltà” così come   era data  dalla legislazione italiana fino al 1904.
Nella pratica del restauro  ARCHITETTONICO egli prevede cinque tipi di intervento:


1) CONSOLIDAMENTO     (lavori di rinforzo strettamente necessarie)
2) RICOMPOSIZIONE         (anastilosi)            
3) LIBERAZIONE                (eliminazione di sole superfetazioni)
4) COMPLETAMENTO       (aggiunte di parti nuove purchè accessorie)
5) INNOVAZIONE        (aggiunte di parti essenziali che dovessero risultare indispensabili)




Fissa  infine i criteri di impostazione per la tutela dei centri storici  che si possono riassumere  in due punti essenziali:
Inserimento dei centri antichi nella vita economica della città moderna;
Risanamento e rivitalizzazione dei centri antichi.



sabato 21 gennaio 2012

Nascita Conservazione e Legislazione del Restauro Architettonico

Pubblicazione di arch. Vincenza Molinari

Il restauro e’ un atto di cultura derivando più da considerazioni critiche ed estetiche che da esigenze pratiche. Più una filosofia intesa come ricerca, da parte dell’uomo, delle peculiarità della propria storia. Esso e’ rivolto agli oggetti che, con una comune accezione, costituiscono il patrimonio culturale. Il rapporto tra l’uomo e questi oggetti e’ variato nel corso dei secoli a seconda della sensibilità del momento da parte dell’uomo nei confronti dell’arte del passato e, col passato stesso in relazione ai valori del presente.
Nel Rinascimento si cerca nelle regole dell’arte classica la grammatica per un nuovo linguaggio artistico che si basa su una reinterpretazione dei modelli antichi ma non si ha alcuna idea della conservazione di monumenti, espressione di quelle regole. E’ normale quindi intervenire su edifici del passato per “attualizzarne la destinazione degli spazi” o per “sovrapporre una nuova veste artistica”.
Nel settecento ci si rivolge nuovamente allo studio dell’antichità per una volontà documentaria dell’opera d’arte e da questa motivazione che ne deriva una necessità di conservazione. Ed è proprio in età neoclassica che nasce la scienza del restauro che si andrà poi sviluppando, con aspetti sempre più coinvolgenti, cercando, da una parte, di recuperare dal passato quella qualità di vita che si  è andata perdendo con l’avvento dell’era industriale o quella ricongiunzione con il passato per ritrovare le proprie radici storiche e, dall’altra una continuità con il  presente  dopo avvenimenti di rivoluzione sociale. Fondamentali le  due correnti di pensiero sviluppate nell’ottocento che trovano contrapposti le teorie di Viollet Le Duc, architetto francese, attivo dopo le distruzioni della rivoluzione francese, che intende per restauro addirittura il rifacimento integrale e in stile; e uno scrittore come il Ruskin, in una Inghilterra in piena rivoluzione industriale e strenuo difensore della conservazione delle opere del passato così  come sono, che ha una posizione di antitesi sullo stesso concetto di restauro. Per Ruskin infatti: “Il restauro è la distruzione accompagnata dalla falsa descrizione della cosa distrutta”.
E’ dall’Italia che, alla fine del secolo, con Camillo Boito architetto e scrittore si ha una posizione intermedia tra le due teorie sopradette e il restauro assume un significato più scientificamente corretto. Si indicano i principi di intervento fondati sulla differenziazione dei materiali, sulla documentazione storica del monumento, sulla notorietà dei restauri effettuati, sul divieto di restauri in stile e sul rispetto del valore storico dell’oggetto. Da quel momento in poi si comincia a delineare quell’atteggiamento culturale che per gradi arriverà poi a riconoscere la presenza contemporanea del valore storico e artistico nell’opera d’arte, intesa nel più ampio senso del termine, e a delineare una teoria del restauro che non privilegi uno dei due aspetti a discapito dell’altro. Sarà in epoca più  recente, dopo i dibattiti internazionali confluiti nella carta del restauro di Atene del ‘31 e nella carta del restauro di Venezia del ‘64, che Cesare Brandi1, storico dell’arte, illustrerà una metodologia critico-estetica per spiegare l’attuale atteggiamento nei confronti del restauro.

Secondo la sua teoria il restauro si fonda sul riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica di aspetto (in quanto veicolo dell’immagine opera dell’uomo) e struttura (in quanto a consistenza materiale) e nella duplice polarità  estetico-storica. La prima operazione del restauro, quindi, è quella di riconoscere se l’opera presenta la qualità per essere trasmessa. Qualità rintracciabile attraverso un sistema di pensiero ed un atto critico che ne verifichi l’artisticità e, in quanto prodotto dell’attività umana, la storicità. Ne deriva che l’intervento conservativo e’ motivato proprio da tale riconoscimento ed e’ guidato e condizionato dalla valutazione dell’opera. Per tanto esso stesso e’ atto critico. La dialettica del restauro si fonda così  sul contemporaneo rispetto di esigenze di tipo storico e di esigenze di tipo estetico. In questa visione risulta chiaro quanto in realtà  sia difficile muoversi nel pieno rispetto di entrambe e riuscire a trovare una soluzione che sia oggettivamente non criticabile.
Se dal punto di vista storico ogni aggiunta cresciuta sull’opera da restaurare richiede, per la sua stessa storicità, (cioé  per il documento che rappresenta e indipendentemente dal suo valore artistico) di essere conservata; dal punto di vista dell’estetica per recuperare la bellezza del monumento, offuscata e letteralmente nascosta da aggiunte successive, potrebbe essere richiesto di rimuoverla. Il conflitto che ne consegue va risolto a favore dell’istanza che ha maggior peso. Ovviamente il valutare il maggior peso e’ sicuramente un atto individuale e soggettivo, ma non per questo arbitrario, di valutazione e di giudizio che conferma il carattere propriamente critico e non empirico del restauro.






Atteggiamento nei confronti delle preesistenze:
          Evoluzione storica della Conservazione dal Medioevo
       al XIX secolo

La sensibilità dell’uomo nei confronti del passato  e delle sue opere  muta di continuo:  così ogni tempo ha avuto un suo particolare  modo di rivolgersi al passato, procedendo sempre secondo una scelta preferenziale.
Fino al Rinascimento era normale consuetudine riparare un edificio, trasformarlo, demolirlo e  ricostruirne un altro sulle precedenti fondamenta. L’edilizia era un continuo evolversi e trasformarsi, a seconda delle esigenze del singolo e del momento.
“E’ nel  Rinascimento  che si attua in maniera continua, profonda e sostanziale,   quel  contatto con l’antico che determina il più vasto rivolgimento culturale della storia dell’uomo moderno.”
La rinascita dell’antico assume il significato di aperta ribellione alle tradizioni (bizantine e gotiche) tramandate dalle invasioni del medioevo   che hanno spento la virtus  romana: bisogna quindi ricollegarsi alla fonte antica. L’antico non è un  repertorio di modelli da imitare, ma la coscienza storica del passato e del suo rapporto con il presente. In architettura lo studio delle opere antiche serve a trarre ispirazione per nuove opere. Non si avrà mai  pura  imitazione delle opere classiche  in quelle  che si realizzano. Quello che si trae dalle opere del passato è una sintassi classica per poi esprimersi con un linguaggio che è di nuova interpretazione.
Nello stesso tempo però se si vuole realizzare una nuova chiesa  non si  esita a sacrificare edifici preesistenti o a ricavare  marmi  da  edifici storici.  Tutto ciò  nonostante nel 1462 Pio II Piccolomini avesse promulgato una bolla, Cum almam nostram urbem, a tutela dei monumenti e dei ruderi antichi.
Ai  primi  anni del  cinquecento Giulio II affidò a Bramante la costruzione del nuovo S. Pietro a spese  dell’antica basilica, senza minimamente preoccuparsi della sua storia millenaria.
Leone X nel 1515,  preoccupandosi di salvare almeno le epigrafi e le memorie storiche del demolendo S. Pietro,  nominò  Raffaello  Commissario delle antichità di Roma.  Ma le spoliazioni  dei monumenti, e non solo delle parti decorative, continuavano  senza alcun problema. A titolo di esempio a Roma con i travertini del colosseo si costruirono Palazzo Venezia e la Cancelleria, il porto di Ripetta e l’immensa  mole di S. Pietro.
Intanto nel  1538 un’altra bolla veniva  emanata da Paolo III per invitare alla conservazione dei monumenti di Roma.

La personalità degli architetti rinascimentali mal si adatta ai puri criteri della conservazione ed il loro modo di operare di fronte a situazioni di completamenti, riadattamenti, o parziali ricostruzioni, anche quando  devono tener conto dell’edificio  preesistente, è palesemente autonomo.
In mancanza di una visione storica del passato  il rapporto uomo-opera d’arte è sempre impreciso, mutabile e arbitrario, e, quando gli architetti si accostano al  monumento per riadattarlo alle nuove esigenze, per sostituirvi qualche parte o per completarlo, è sempre il monumento che deve entrare nella visione dell’architetto e non viceversa. Succede così che l’architettura albertiana del tempio malatestiano a Rimini si sovrappone alla struttura della chiesa gotica di S. Francesco,  del XIII secolo,  senza demolire le strutture originarie ma con assoluto distacco dallo stile della chiesa precedente.
Filippo Brunelleschi nel voltare la cupola di S. Maria del Fiore dovette partire dalle strutture già realizzate da Arnolfo di Cambio. Egli partendo dall’ottagono di base tracciò gli  otto costoloni alla maniera gotica, lanciandoli con sesto acuto verso l’alto per chiuderli infine  in sommità con il lanternino  ancora permeato di sensibilità gotica, ma con una espressività sicuramente già rinascimentale.  Nel  settecento, in pieno barocco, Bernini ripristina il pronao del Pantheon , rispettando il disegno originario ma demolisce un campanile romanico per inserire al suo posto ben due campanili, ai lati opposti della cupola, così come alla maniera del tempo si faceva nella realizzazione di nuove chiese.

Nel XVII secolo, nello stato Pontificio furono promulgati altri editti per  vietare  l’estrazione di statue di marmo e di metallo, medaglie, iscrizioni, gioielli , ecc.,  basta ricordare  l’ Editto del  cardinale Aldobrandini del 5 ottobre  1624  e quello del cardinale Sforza del  26 Gennaio 1646.
Gli editti che si sussseguirono  dal 1750 al 1820  ribadirono l’assoluto divieto di esportazione dei reperti archeologici scavati, segno evidente che nonostante  l’attenzione statale al problema dei trafugamenti il traffico dei  reperti continuava  senza sosta alcuna.
Con l’Editto Valenti  del 1750  si cercò  di colpire il commercio dei  falsi,  all’epoca già molto diffuso a Roma, creando tre assessori (pittura, scultura, e antichità) da affiancare al commissario.
Con l’Editto Cardinale Doria Pamphili del  1802, in particolare, a seguito al saccheggio di opere d’arte compiuto dalle truppe napoleoniche e  allo scopo di impedire sottrazioni incontrollate di capolavori, si ristabilì il posto di ispettore generale delle Belle Arti, affidandolo al Canova. Altri aspetti essenziali dell’editto furono:
1) conferma dell’editto del 1750 ma con divieto assoluto di esportazione da Roma e dallo Stato Pontificio di qualsiasi oggetto antico;
2) obbligo di dichiarazione di possesso da parte dei detentori di collezioni, gallerie, musei, di uno o più oggetti d’arte, per evitare vendite incontrollate;
3) divieto di demolizione dei ruderi di edifici antichi  all’interno di proprietà private;
4) facoltà del Camerlengo di accordare licenze di demolizione dei ruderi di quegli  edifici che non avevano  alcuna importanza “... né  per le Arti né per l’Erudizione.”  Al Camerlengo, inoltre,  era delegata la responsabilità di dare le direttive  ai conservatori del popolo romano, all’ispettore e al commissario delle antichità.
Con l’ Editto  cardinale  Pacca  del 7 aprile  1820  vennero  istituite:  la  Commissione delle Belle Arti  (consultivo tecnico) da destinare ai musei,  e le  Commissioni ausiliare nelle Province a cui era affidato il patrimonio storico e artistico dello Stato.


Regno  di  Napoli

Qui come nello Stato pontificio si ebbe in materia di tutela una legislazione abbastanza completa, rivolta alla salvaguardia sia degli edifici monumentali che sia del patrimonio archeologico.
Carlo di Borbone  per porre freno ai furti che si perpetravano ad Ercolano e a Pompei   sancì nel 1755  una  Prammatica (confermata nel  1766, 1769 e 1822, 1839),  nella quale si faceva appunto divieto di asportare oggetti senza  espressa licenza del governo, da tutti gli immobili antichi.
Nel 1822   con il decreto di  Ferdinando I   si istituisce la  Commissione di Antichità e Belle Arti.
Nel 1839,  sempre Ferdinando I con un altro decreto dispone che le autorità amministrative devono vigilare  affinché non si “ deturpi l’antico con lavori moderni ...e che i restauri devono essere autorizzati dal Ministro Segretario di Stato degli affari interni, e dopo l’esame da parte della Reale Accademia di Belle Arti  e delle norme che essa detterà.


Nascita   del  Restauro : Il  restauro stilistico  di  violet Le Duc

Le origini del restauro, modernamente inteso,  sono in Francia.
In conseguenza della  rivoluzione francese  del 1789 si effettuarono,  su tutto il territorio francese, vandalismi e distruzioni di edifici, monumenti, statue, iscrizioni e quant’altro ricordava il vecchio regime monarchico.  Le cose non cambiarono  durante il periodo napoleonico  e  si effettuarono delle vere e proprie demolizioni urbanistiche.  Tra le tante distruzioni vale la pena ricordare che tra il 1802 e il 1810 venne distrutto a Parigi lo Chatelet,  esempio  tipico di architettura militare,   e l’abbazia di Cluny, una delle più  grandiose architetture monastiche esistenti.
Con la caduta di Napoleone ed il ritorno della monarchia si assiste ad un ritorno  verso l’antico e al ripristino di quei monumenti che meglio lo rappresentavano.
Il bilancio della distruzione del patrimonio nazionale è  molto grave. Si cerca così di recuperare l’architettura dal XII   al XV  secolo  che rappresentava l’espressione più cospicua ed unitaria dell’arte francese.
Gli architetti francesi si trovarono però impreparati, in un  momento artistico (neoclassicismo) spiritualmente opposto al carattere stilistico dei suoi maggiori monumenti. Nè migliore cura  potevano dedicare a palazzi e cattedrali gotiche  i giovani formati  presso l’accademia di Francia a Roma  che si erano esercitati sui monumenti dell’antichità.   Per un certo periodo gli architetti nei restauri  dovettero procedere per tentativi e senza una qualsiasi regola generale scaturita dalla tradizione.  Così  ad esempio, il restauro della basilica di St. Denis fu realizzato dall’architetto Francois Debret, noto costruttore di teatri, il quale anzicchè  consolidare subito le parti superstiti, si dedicò ad effettuare arbitrari rifacimenti  che tolsero al monumento  il suo carattere originario,  e  ne causò la demolizione della  zona della guglia e della  torre sinistra perchè  nel restauro  aveva utilizzato materiale troppo pesante.
Si rendeva necessario una preparazione tecnica specifica  per   gli architetti che dovevano  progettare e intervenire su un patrimonio enorme e  seriamente  compromesso, e, nello stesso tempo era necessario un’accurata sorveglianza da parte dell’amministrazione  pubblica per  salvaguardare, controllare, inventariare, programmare i lavori  che si rendevano necessari  dappertutto.
Nel 1830  è ispettore generale dei monumenti storici  Ludovico Vitet, storico e critico d’arte .  Il  Vitet  si adoperò affinchè:

 venisse redatta una relazione descrittiva dei monumenti e del loro stato di conservazione: acquisizione fondamentale per  la ricognizione del patrimonio esistente  sul territorio nazionale   e  sugli interventi da effettuare  su di essi per garantirne la sopravvivenza;
si stanziassero fondi statali per il restauro di insigni  monumenti;
si  formassero tecnici per il restauro;
si acquisissero monumenti da parte dello Stato attraverso l’esproprio;
fossero redatte istruzioni per gli scavi archeologici.

Nel 1837 la carica passa a Prosper Merimeé , brillante scrittore del cenacolo romantico. La sua carica durò 20 anni. Con il Merimeè  si ha il passaggio dal periodo empirico al periodo dottrinale del restauro.  La sua opera può riassumersi in:

1) Denunzia di episodi distruttivi  provocati da privati e da autorità locali per effettuare ampliamenti o allineamenti stradali;
2) opposizione ai cattivi adattamenti dei monumenti ;
3) prima formulazione del restauro stilistico: egli ricorda che per restauro si deve intendere la conservazione di ciò che esiste, ammettendo tutt’al più  la riproduzione di ciò che è sicuramente esistito e “quando le tracce dello  stato antico sono perdute la cosa più saggia è copiare i motivi analoghi in un edificio dello stesso tempo e della stessa provincia.”


Nel 1883  al III congresso degli ingegneri e architetti, ripresenta  il documento, sotto forma di mozione che per la precisione dei concetti può definirsi una prima “Carta del Restauro”  i cui  principi fondamentali  sono  indicati  in 8 punti:
Differenza di stile tra vecchio e nuovo
Differenza dei materiali di fabbrica
Soppressione di sagome ed ornati
Mostra dei vecchi pezzi rimossi aperta accanto al monumento
Incisione di ciascun pezzo rinnovato con la data del restauro o un
         segno convenzionale
Epigrafe descrittiva incisa sul monumento
Descrizione e fotografie dei diversi periodi del lavoro
Notorietà

 L’autorità raggiunta dal Boito  contribuì ad orientare i legislatori  sulla formulazione di  una nuova legge  per “La conservazione dei monumenti e degli oggetti d’antichità e d’arte”  che, dopo lunghe vicende venne approvata il 12 giugno 1902 con il  n. 185







3. Le carte internazionali  e le prime leggi di tutela in Italia
   

3.1    Le leggi di tutela del 1906 e 1909

Dopo l’unificazione, i legislatori del regno d’Italia si orientarono verso una graduale armonizzazione delle norme e disposizioni vigenti nelle province, le quali, in un primo momento, vennero tutte mantenute nell’attesa d’una soluzione organica ed unitaria. A tal fine vennero compiuti alcuni tentativi già a partire dal 1875, con l’istituzione della Direzione centrale degli scavi e dei musei del Regno (r.d. 28 marzo 1875, n. 2440) e con la creazione degli uffici tecnici regionali per la conservazione dei monumenti (1891).

Del  1875  è il  regio decreto  del  28 marzo   n. 2440  con il quale fu istituita la    Direzione centrale degli scavi e dei musei del Regno   mentre con  quello del  1891  si ebbe  l’istituzione Uffici tecnici regionali per la conservazione dei   Monumenti.
Nello stesso tempo si lavorava alla stesura d’una legge generale sulla tutela di opere d’interesse storico, artistico ed archeologico del regno: dopo vari tentativi, il testo, presentato nel 1878 e successivamente ripreso e riveduto, fu approvato il 12 giugno 1902, dando così luogo alla legge n. 185,  Per la conservazione dei monumenti e degli  oggetti di antichità e d’arte.    La  legge divisa in 31 articoli, tentava di conciliare gli interessi dello Stato con quelli dei privati; a tal fine dettava disposizioni circa:
1)  la redazione di cataloghi di oggetti d’arte e d’antichità, di proprietà privata, di sommo o di grande pregio artistico;
2) introduceva una tassa, differenziata per tipo di opera, sulla vendita degli oggetti d’arte e d’antichità e sanciva il diritto di prelazione e di espropriazione da parte dello Stato.

Nel   1904 fu emanato il regio decreto  18 luglio    n. 431  che rappresentava il regolamento d’attuazione della legge n. 185.

Nel 1907, il 27 giugno,   fu emanata una nuova legge, la n. 386,    con la quale si ha una  indicazione precisa  riguardo agli uffici che devono avere competenza sulle differenti  opere artistiche presenti sul territorio nazionale.
Così per le opere di pregio artistico  e archeologico si conferisce il compito della tutela:
alle soprintendenze  ( ai monumenti, agli scavi e musei archeologici, alle
                                                        gallerie, ai  musei medievali e moderni  agli oggetti d’arte )
agli uffici regionali sotto la direzione del Ministero della P.I.
agli ispettori onorari  per i monumenti, scavi, oggetti d’antichità e d’arte
alle commissioni provinciali per la tutela e la conservazione dei monumenti e degli oggetti  d’antichità e d’arte.
La legge istituiva, infine, il Consiglio superiore delle antichità e belle arti.

Pochi mesi più tardi il r.d. 28 agosto 1907, n. 707 (Per la redazione dell’inventario dei monumenti e degli oggetti d’antichità  e d’arte) definiva le norme per la catalogazione generale delle opere d’arte.

La legge n. 185 del 1902 fu sostituita qualche anno dopo dalla legge 20 giugno 1909, n. 364,  Sulle cose d’interesse artistico e storico. Le nuove disposizioni della legge, rimasta in vigore per trent’anni, riguardavano, ora, tutte le opere, mobili ed immobili, d’interesse storico, artistico ed archeologico, anche se di proprietà privata (art. 1). Venivano confermate o formulate nuove norme circa l’inalienabilità degli oggetti immobili o mobili dello Stato o di altri enti (art. 2); l’obbligo di denuncia al Ministero, da parte dei proprietari privati, di eventuali trasformazioni di proprietà degli oggetti notificati come opere d’importante interesse (art. 5); il diritto di prelazione dello Stato (art. 6); il divieto di esportazione di beni oggetto di “notifica”, qualora ciò avesse costituito un “danno

grave” per la storia, l’archeologia o l’arte (art. 8); l’obbligo d’autorizzazione per procedere a lavori di demolizione, trasporto, modifica o restauro di beni oggetto di tutela (articoli 12 e 13); infine la regolamentazione delle norme relative all’esecuzione di scavi e del diritto d’esproprio esercitabile dallo Stato su terreni nei quali eseguire scavi (articoli 15-20).
Il campo d’applicazione della legge n. 364 del 1909 fu esteso, con le disposizioni della legge 23 giugno 1912, n. 688, alle ville, ai parchi e ai giardini d’interesse storico o artistico.
Il regolamento d’esecuzione delle due leggi, approvato con r.d. 30 gennaio 1913, n. 363, è costituito da due titoli (il primo sulle “cose di proprietà dello Stato e degli Enti morali” ed il secondo sulle esportazioni all’estero), e da 178 articoli.

Il regolamento è  rimasto  in vigore per l’applicazione della successiva legge n. 1089 del 1° giugno 1939  ed è tuttora in vigore in attesa del  regolamento di applicazione da emanare in base al disposto dell’art. 12,   Titolo I,  del  Testo Unico sui Beni Culturali.


3.2 Dalla  Carta di Atene  alle leggi di tutela in Italia  del 1939

Intanto, soprattutto dopo la prima guerra mondiale, i problemi del restauro furono ulteriormente approfonditi, soprattutto per merito di Gustavo Giovannoni che nel 1925 pubblicò Questioni di architettura nella storia e nella vita,  e nel 1931 Vecchie città ed edilizia nuova. Il Giovannoni partecipò attivamente alla Conferenza di Atene  che emanò la prima Carta del Restauro.
L’istituto per la cooperazione intellettuale della Società delle Nazioni organizzò nel 1930 un congresso su: L’identificazione, la cura, il restauro dei dipinti o di sculture o di altri elementi decorativi o di altri oggetti d’arte. In tale occasione  emerse la constatazione che i temi discussi erano intimamente connessi con quelli relativi ai monumenti, per cui lo stesso istituto organizzò la “Conferenza internazionale di esperti per la protezione e la conservazione dei monumenti di arte e di storia “  che si svolse ad Atene dal 21 al 30 settembre del  1931.



Carta  di  Atene del 1931

La conferenza si articolò attraverso la discussione di sei  punti così individuati:
6) Esposizione delle differenti legislazioni;
7) Restauro dei monumenti: principi generali, studi comparativi delle dottrine;
8) Degradazione dei monumenti: esempi caratteristici, impiego di materiali nuovi,
      processi tecnologici, conservazione delle statue e delle strutture ornamentali;
9) Ambiente dei monumenti;
10) Utilizzazione dei Monumenti;
11) Punti particolari sui quali è desiderabile che l’ufficio internazionale dei musei
      prenda un’iniziativa   di studi  o di azione.
A conclusione dei lavori del congresso fu approvato un documento che prende il nome di Carta di Atene.                                           (Si riporta sinteticamente il contenuto della carta.)


La Conferenza:

convinta che, la conservazione del patrimonio artistico ed archeologico dell’Umanità interessi tutti gli Stati tutori della civiltà, augura  che gli stati  si prestino reciproca collaborazione, sempre più estesa e concreta, per favorire la conservazione dei monumenti d’arte e di storia.
ha inteso l’esposizione  delle dottrine ei principi generali concernenti la protezione dei monumenti, constata che in generale predomina, nei vari stati di appartenenza, la tendenza ad abbandonare le restituzioni integrali e ad evitarne i rischi mediante l’istituzione di manutenzioni regolari e permanenti. Nel caso sia indispensabile il restauro raccomanda di rispettare l’opera storica ed artistica del passato senza prescrivere lo stile di alcuna epoca. Di mantenere, quando sia possibile, l’occupazione dei monumenti che ne assicura la continuità vitale, purchè, tuttavia, la moderna destinazione sia tale da rispettare il carattere storico ed artistico.
ha unitamente approvato la tendenza generale che consacra in questa maniera un diritto della collettività di contro l’interesse privato  ed  emette il voto che in ogni Stato la pubblica autorità sia investita del potere di prendere misure conservative in caso di d’urgenza.
constata che i principi e le tecniche esposte si ispirano ad una comune tendenza quella cioè di una conservazione scrupolosa  di rovine e della ricomposizione  di elementi  originali ritrovati (anastilosi)  e  nel  riconoscimento dei  materiali nuovi necessari  a questo scopo, di seppellire nuovamente le rovine rimesse in luce qualora sia impossibile assicurarne la conservazione, dopo avere effettuato  gli opportuni rilievi.
approva l’utilizzo dei materiali moderni nei restauri   per il consolidamento degli antichi edifici  ed approvano l’impiego giudizioso di tutte le risorse della tecnica  moderna, e più specialmente del cemento armato.
raccomanda: 1)  la collaborazione in ogni paese  tra i conservatori e gli architetti con  i rappresentanti delle scienze fisiche, chimiche, naturali per raggiungere sempre maggiori applicazioni;  2) la diffusione dei risultati mediante notizie sui lavori intrapresi nei vari paesi e le regolari pubblicazioni. Inoltre per quanto riguarda la conservazione della scultura monumentale, considera che l’asportazione delle opere dal quadro pel quale furono create è come principio da ritenersi inopportuno.
raccomanda di rispettare nella costruzione degli edifici il carattere e la fisionomia della  città, soprattutto nelle vicinanze di monumenti antichi, il cui ambiente deve essere oggetto di cure particolari, così deve essere per talune prospettive pittoresche.
emette il voto:
1) che i vari Stati compilino un inventario dei monumenti storici  corredato da fotografie e notizie;
2) che ogni Stato  crei un apposito archivio  per tali documenti.
3) che l’ufficio internazionale dei Musei dedichi nelle sue pubblicazioni   alcuni articoli  ai metodi e procedimenti di conservazione dei monumenti storici;
4) che l’ufficio stesso studi  la migliore diffusione dei dati centralizzati
rende omaggio alla Governo greco che, impegnato nei lavori di scavo e restauro archeologico,  ha accettato la collaborazione degli archeologi e degli specialisti di tutti i paesi: un valido esempio di cooperazione internazionale.;
considerato che la migliore garanzia di conservazione si basa sul rispetto e l’amore dei popoli  auspica che gli educatori si prodighino per abituare i giovani ad astenersi da qualsiasi  atto vandalico nei confronti  dei monumenti e ad interessarsi alla protezione delle testimonianze d’ogni civiltà.


Contemporaneamente alla carta di Atene in Italia si ebbero precise norme per il restauro dei monumenti  redatte in quello stesso anno dal Consiglio superiore delle belle arti e dovute in gran parte  all’attiva collaborazione di Gustavo Giovannoni.
Nel 1938 il Ministero competente emanò ancora una serie di istruzioni per il restauro. Queste furono elaborate da un gruppo di esperti tra i quali erano G. Giovannoni, R. Longhi  e G. De Angelis a conferma e perfezionamento di quelle indicate nella carta del 1931. A seguito quindi di queste nuove indicazioni date dal mondo  culturale  il governo italiano  fece seguire l’aggiornamento della legislazione in materia di tutela  con la promulgazione, nel 1939,  delle due leggi di tutela, la 1089 e la 1497  e, nel 1940 del regolamento d’esecuzione.





Legge 1° giugno 1939, n. 1089, Sulla tutela delle cose d’interesse   artistico  e  storico.

La legge sostanzialmente distingue tre differenti  gradi dell’”interesse” delle cose oggetto della salvaguardia, e cioè:

1° quelle che rivestono un semplice carattere artistico, storico archeologico  (art.1)

2° Le cose che hanno interesse particolarmente importante e che sono state oggetto di notifica da parte del Ministro per i BB CC e AA (artt. 2 e 3)

3° Le cose di sommo interesse artistico tale che la loro esportazione costituisce  un danno per il patrimonio d’arte nazionale (art. 35)

Le opere della prima categoria,  appartenenti ad Enti, non possono essere restaurate né modificate o demolite senza l’autorizzazione del Ministro. Deve essere chiesta inoltre  l’autorizzazione per il loro adattamento ad usi diversi da quelli originari (art. 11).

  I  privati sono soggetti allo stesso obbligo per le cose appartenenti alla seconda categoria

- Enti e privati devono sottoporre agli uffici dello Stato i progetti per lavori di qualsiasi genere intendono effettuare alle loro cose dando comunicazione dell’inizio dei lavori, anche di urgenza,  che si accingono ad eseguire (art. 18)

- Enti e privati devono anche consentire allo Stato di provvedere direttamente alle opere necessarie per la conservazione  (art. 14), rimborsando la spesa sostenuta dallo Stato stesso    (art.17)

La legge prevede, inoltre:

- Prescrizioni di norme per la disciplina degli interventi edilizi nell’ambiente circostante i monumenti   (art. 21)  ed altre ancora per  impedire danni ambientali conseguenti al collocamento di elementi pubblicitari, all’affissione di manifesti e cartelli, e così via (art. 22)

- Obbligo di ottenere l’esplicita  autorizzazione degli uffici competenti per la rimozione dagli edifici di affreschi, stemmi, decorazioni, ecc. (art. 13)

- Norme che disciplinano i ritrovamenti e le scoperte archeologiche

- Sanzioni  pecuniarie contro i trasgressori


Come si è detto alla 1089  non ha mai fatto seguito la promulgazione di norme di esecuzione  per cui ad essa si applicano le disposizioni del R.D. 30 gennaio 1913  n. 363





Legge 29 giugno 1939, n. 1497  
Sulla protezione delle bellezze  naturali  e panoramiche


- La legge ha per oggetto un vasto insieme  di cose e  località: dai boschi, alle ville, dall’albero alle bellezze panoramiche  (art. 1)

Di esse vengono compilati 2 distinti  elenchi:

il primo contiene  le cose immobili aventi cospicui caratteri di bellezza naturale e di singolarità geologica, nonché ville, giardini, parchi non contemplati dalla  L.1089. Di tale cosa viene fatta notificazione di importante interesse ai proprietari.

il secondo elenco (pubblicato nella gazzetta ufficiale e affisso nell’albo dei Comuni interessati) contiene  i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale e le località che presentano bellezze panoramiche considerate come quadri naturali o punti di vista o di belvedere. Per tali località può essere predisposto dallo Stato un piano territoriale paesistico.

Sia per le cose e località incluse negli elenchi sia per tutte le altre soggette alla legge lo Stato ha la facoltà di impedire ogni alterazione dello stato dei luoghi, non preventivamente autorizzata, anche sospendendo immediatamente i lavori  (artt. 9 e 10)

Alla legge ha fatto seguito un proprio  regolamento di esecuzione, emanato con R. D.  3 giugno 1940, n. 1357.

3.3    Dalla  carta  di  Venezia   alla  Carta  del  Restauro  del  1972

Dopo le gravi distruzioni prodotte dalla seconda guerra mondiale, di fronte alla nuova dimensione  degli interventi richiesti dagli edifici monumentali  ed alla necessità di ricostruzione delle città e dei centri antichi, sotto  la crescente espansione urbana  e della speculazione edilizia,  si rende  necessario una revisione dei criteri e delle norme da seguire  nei restauri. A conclusione dei  dibattiti ma anche delle polemiche  che si susseguirono negli anni cinquanta e sessanta, nel 1964, dal 25 al 31 maggio,  i  tecnici del restauro si riunirono in congresso internazionale a Venezia. In quella sede venne  esaminata  una proposta di modifica della carta del restauro del 1931  ed  approvarono la nuova Carta internazionale del restauro  nota come  Carta  di  Venezia.



Carta  di  Venezia  (1964)

In essa è evidente la volontà di  dare una maggiore puntualizzazione nella definizione di monumento  storico   dopo le operazioni di sventramento effettuate in molti centri storici per isolare i monumenti. All’art. 1  si dice quindi che: “La nozione di monumento storico  comprende tanto la creazione architettonica  isolata quanto l’ambiente urbano e paesistico che costituisca la testimonianza  di una civiltà particolare, di un’evoluzione significativa o di un avvenimento storico. Questa nozione si applica non solo alle grandi opere, ma anche alle opere modeste che, con il tempo, abbiano acquistato un significato culturale.” Mentre l’art. 2  recita: “La conservazione ed il restauro dei monumenti costituiscono una disciplina che si vale di tutte le scienze e di tutte le tecniche che possono contribuire allo studio ed alla salvaguardia del patrimonio monumentale.
Chiarito che lo scopo della conservazione ed il restauro dei  monumenti è quello di  salvaguardare tanto l’opera d’arte che la testimonianza storica (art.3) si enunciano una serie di principi da  rispettare  nella conservazione e nel restauro.
Quindi: una manutenzione sistematica (art.4), utilizzo dei monumenti in funzioni utili alla società per garantirne una migliore  conservazione ma senza alterare la distribuzione e l’aspetto dell’edificio (art.5), conservazione delle condizioni ambientali (art.6). Inoltre non possono accettarsi spostamenti parziali o completi  di un monumento  perché esso non può separarsi dalla storia della quale è testimone, né dall’ambiente in cui si trova,  salvo esigenze specifiche di salvaguardia per cause eccezionali (art.7), né possono separarsi dal monumento elementi di scultura, pittura o decorazione  se non quando questo sia l’unico modo atto ad assicurare la loro conservazione (art.8).  Riguardo al restauro esso deve mantenere un carattere eccezionale  e deve fermarsi dove ha inizio l’ipotesi. Qualsiasi lavoro di completamento, riconosciuto indispensabile per ragioni estetiche e tecniche, deve distinguersi  dalla progettazione architettonica e dovrà recare il segno della nostra epoca. Esso dovrà, inoltre,  sempre essere preceduto e accompagnato da uno studio archeologico e storico del monumento. (art.9). Quando  le tecniche tradizionali  si rivelino inadeguate  è possibile  utilizzare  i più moderni mezzi di struttura e conservazione  purché debitamente sperimentati (art.10). Lo scopo di un restauro non è  l’unità stilistica:  quando in un edificio si presentano parecchie strutture sovrapposte la liberazione di una struttura di epoca anteriore  non si giustifica che eccezionalmente, e a condizione che gli elementi rimossi siano di scarso interesse, che la composizione architettonica rimessa in luce costituisca una testimonianza di grande valore storico, archeologico o estetico  e che sia in buono stato di conservazione. La decisione non va presa comunque dal solo autore del progetto (art.11). Gli elementi di integrazione per le parti  mancanti devono integrarsi armoniosamente nell’insieme, distinguendosi tuttavia dalle parti originali  in modo da rispettare sia l’istanza estetica che quella storica (art.12). Le  aggiunte  devono rispettare  tutte le parti interessanti dell’edificio, il suo ambiente tradizionale, l’equilibrio del suo complesso ed i rapporti con l’ambiente circostante (art.13). Speciali cure devono essere riservate  agli ambienti  monumentali  per salvaguardarne la loro integrità ed assicurarne il risanamento (art.14). I  lavori di scavo saranno effettuati  conformemente alle norme scientifiche  ed alla raccomandazione   Unesco del 1956 (art.15). Infine i lavori di scavo, conservazione e restauro saranno sempre accompagnati da una rigorosa documentazione  corredata da relazioni, disegni , fotografie  che comprenderà  anche  tutte le fasi di lavoro effettuate, e  che sarà depositata in pubblici archivi e verrà messa a disposizione degli studiosi. (art.16).




Carta  del  restauro  1972

Nel 1972  furono emanate le  istruzioni per il restauro dei monumenti  redatte da alcuni esperti del Consiglio superiore delle antichità e belle arti. Il documento presentato  al Ministro della Pubblica Istruzione  fu fatto oggetto di una circolare del ministro alle sovrintendenze. Le istruzioni presero, impropriamente, il nome di Carta  del  restauro 1972.  Esse costituite, da 12 articoli,  individuano le opere soggette alle istruzioni (artt. 1-2-3), definiscono cosa debba intendersi per salvaguardia e  restauro (art.4), la programmazione annuale degli interventi di salvaguardia e restauro da parte delle soprintendenze ed istituto responsabile e la presentazione dei progetti per gli interventi di restauro corredati di relazione tecnica (comprensiva di analisi storica, stato di fatto  e natura degli interventi da effettuare  (art.5), le modalità generali di intervento indicando cosa  è proibito (art.6) e cosa è ammesso effettuare su tutte le opere d’arte indicate agli artt. 1-2-3. (art. 7). Ogni intervento dovrà essere reversibile e  dovrà farsi una documentazione fotografica prima, durante e dopo ogni intervento di restauro (art.8) mentre l’uso di nuovi procedimenti dovrà essere autorizzato dal Ministero su  motivato parere dell’Istituto Centrale del Restauro (art.9).   I   provvedimenti  intesi   a   preservare  dalle  azioni  inquinanti e dalle variazioni

atmosferiche, termiche e igrometriche  non dovranno alterare l’aspetto della materia e il colore delle superfici. (art.10). Il documento è quindi completato dagli  allegati  che  indicano I metodi specifici  di cui avvalersi come procedura di restauro singolarmente per i monumenti architettonici, pittorici, scultorei, per i centri storici nel loro complesso, nonché per l’esecuzione  degli scavi,(art.11) e che sono quindi:
Istruzioni per la salvaguardia ed il restauro delle antichità;
Istruzioni per la condotta dei restauri architettonici;
Istruzioni per l’esecuzione di restauri pittorici e scultorei;
Istruzioni per la tutela dei centri  storici.

Di seguito sono riportate le istruzioni per la condotta dei restauri architettonici (alleg.b)  e per la tutela dei centri storici (alleg.d)  il cui testo fu  redatto dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione   nel 1969.





Allegato b)

Istruzioni per la condotta dei restauri architettonici

Premesso che le opere di manutenzione tempestivamente eseguite assicurano lunga vita ai monumenti, evitando l’aggravarsi dei danni, si raccomanda la mag­re cura possibile nella continua sorveglianza degli immobili per i provvedime­nti di carattere preventivo, anche al fine di evitare interventi di maggiore ampiezza.
Si ricorda inoltre la necessità dì considerare tutte le operazioni dì restauro sotto il sostanziale profilo conservativo, rispettando gli elementi aggiuntivi ed evitando comunque interventi innovativi o di ripristino.
Sempre allo scopo di assicurare la sopravvivenza dei monumenti, va inoltre attentamente vagliata la possibilità di nuove utilizzazioni degli antichi edifici monumentali, quando queste non risultino incompatibili con gli interessi storico-ar­tistici. I lavori di adattamento dovranno essere limitati al minimo, conservando scrupolosamente le forme esterne ed evitando sensibili alterazioni all’individualità tipologica, all’organismo costruttivo ed alla sequenza dei percorsi interni.
La redazione del progetto per il restauro di un’opera architettonica deve essere preceduta da un attento studio. sul monumento, condotto da diversi punti di vista (che prendano in esame la sua posizione nel contesto territoriale o nel tessuto urbano, gli aspetti tipologici, le emergenze e qualità formali, i si­stemi e i caratteri costruttivi, ecc.), relativamente all’opera originaria, come anche delle eventuali aggiunte o modifiche. Parte integrante di questo studio saranno ricerche bibliografiche, iconografiche ed archivistiche, ecc. per acquisire ogni passibile dato storico. Il progetto si baserà su un completo rilievo grafico e fotografico da interpretare anche sotto il profilo metrologico, dei tracciati rego­latori, e dei sistemi proporzionali e comprenderà un accurato specifico studio per la verifica delle condizioni di stabilità.
L’esecuzione dei lavori pertinenti al restauro dei monumenti, consistendo in operazioni spesso delicatissime e sempre dì grande responsabilità, dovrà es­sere affidata ad imprese specializzate e possibilmente condotta “in economia”,  invece che contabilizzata “a misura” o “a cottimo”.
I restauri debbono essere continuamente vigilati e diretti per assicurarsi  della buona esecuzione e per poter subito intervenire qualora si manifestino fatti nuovi, difficoltà  o dissesti murari per evitare infine, specie quando operano il  piccone e il martello, che scompaiano  elementi prima ignorati od eventual­mente sfuggiti all’indagine preventiva, ma certamente utili alla conoscenza dell’edificio ed alla condotta del restauro. In particolare il direttore dei lavori, prima di raschiare tinteggiature o eventualmente rimuovere intonaci, deve accertare l’esistenza o meno di qualsiasi  traccia di decorazioni, quali fossero le originarie grane e coloriture delle pareti  e delle  volte.
Esigenza fondamentale del  restauro è quella di rispettare e salvaguardare l’autenticità degli elementi costitutivi. Questo principio deve sempre guidare e condizionare le scelte operative. Per esempio, nel caso di murature fuori piombo, anche se perentorie  necessità ne suggeriscano la demolizione e la ricostruzione, va preliminarmente esaminata e tentata la possibilità di raddrizzamento senza sostituire le murature originarie.
Così la sostituzione delle pietre corrose potrà avvenire soltanto per compro­vate gravissime esigenze.
Le sostituzioni e le eventuali integrazioni di paramenti murari, ove neces­sario e sempre nei limiti più ristretti, dovranno essere sempre distinguibili dagli elementi originari, differenziando i materiali o le superfici di nuovo impiego; ma in genere appare preferibile operare lungo la periferia dell’integrazione con un chiaro e persistente segno continuo  a testimonianza dei limiti  dell’intervento. Ciò potrà ottenersi con laminetta di metallo idoneo, con una continua serie di sottili frammenti di laterizi  o con  solchi visibilmente più larghi e profondi se­condo i diversi casi.
Il consolidamento delle pietre o di altri materiali dovrà essere sperimen­talmente tentato quando i  metodi,  lungamente provati dall’Istituto centrale del restauro, diano effettive garanzie. Ogni precauzione dovrà essere adottata per evitare l’aggravarsi delle situazioni così pure ogni intervento dovrà essere messo in opera per eliminare  le cause dei danni. Per esempio, appena si notano pietre spaccate da grappe o perni di ferro che con l’umidità si gonfiano, conviene smontare la parte offesa e sostituire il ferro con bronzo o con il rame; o meglio, con acciaio inossidabile che presenta il vantaggio di non macchiare le pietre.
Le sculture di pietra, poste all’esterno degli edifici o nelle piazze, debbono essere vigilate, intervenendo quando sia possibile adottare, attraverso la prassi sopraindicata, un metodo  collaudato di consolidamento o di protezione anche stagionale. Qualora ciò risulti  impossibile, converrà trasferire la scultura in un locale interno.
Per la buona conservazione delle fontane di pietra o di bronzo, occorre decalcificare l’acqua eliminando le incrostazioni calcaree e le periodiche dan­nose ripuliture.
La patina delle pietre deve essere conservata per evidenti ragioni storiche, estetiche ed anche tecniche  in quanto essa disimpegna in genere funzioni pro­tettive, come è attestato  dalle corrosioni  che prendono inizio dalle lacune della patina. Si possono asportare  le materie accumulate sopra le pietre — detriti, polvere, fuliggine guano di colombi, ecc. — usando solo spazzole vegetali o getti d’aria a pressione moderata. Dovranno perciò essere evitate le spazzole metalliche, i raschietti,  come pure sono, in generale, da escludere getti a forte pressione di sabbia naturale, di acqua e di vapore e perfino sconsigliabili i la­vaggi di qualsiasi  natura.




Allegato d)


Istruzioni per la tutela dei centri storici

Ai fini dell’individuazione dei centri storici, vanno presi in considerazione, non solo i vecchi “centri” urbani tradizionalmente intesi, ma – più in generale -  tutti gli insediamenti  umani le cui strutture, unitarie o frammentarie, anche se parzialmente trasformate nel tempo, siano state costituite nel passato e, tra quelle successive, quelle eventuali aventi particolare valore di testimonianza storica o spiccate qualità urbanistiche o architettoniche.
Il carattere storico va riferito all’interesse che detti insediamenti  presentano quali testimonianze di civiltà del passato e quali documenti di cultura urbana, anche indipendentemente dall’intrinseco pregio artistico o formale o dal loro particolare aspetto ambientale, che ne possono arricchire o esaltare ulteriormente il valore, in quanto non solo l’architettura, ma anche la struttura urbanistica possiede, di per se stessa, significato e valore.
Gli interventi di restauro nei centri storici hanno il fine di garantire — con mezzi e strumenti ordinari e straordinari — il permanere nel tempo dei valori che caratterizzano questi complessi. Il restauro non va, pertanto, limitato ad operazioni intese a conservare solo i caratteri formali di singole architetture o di singoli ambienti, ma esteso alla sostanziale conservazione delle caratteristiche d’insieme dell’intero organismo urbanistico e di tutti gli elementi che concorrono a definire dette caratteristiche,
Perché l’organismo urbanistico in parola possa essere adeguatamente salvaguardato anche nella sua continuità nel tempo e nello svolgimento in esso una vita civile e moderna, occorre  anzitutto che i centri storici siano riorganizzati nel loro più ampio contesto urbano e territoriale e nei loro rapporti e con­nessioni con sviluppi futuri: ciò anche al fine di coordinare le azioni urbanistiche in modo da ottenere la salvaguardia e il recupero del centro storico a partire dall’esterno della città, attraverso una programmazione adeguata degli interventi territoriali. Si potrà configurare così, attraverso tali interventi (da attuarsi mediante gli strumenti urbanistici), un nuovo organismo urbano nel quale siano sottratte al centro storico le funzioni che non sono congeniali ad un suo recu­pero in termini di risanamento conservativo.
Il coordinamento va considerato anche in rapporto all’esigenza di salva­guardia del più generale contesto ambientale-territoriale, soprattutto quando questo abbia assunto valori dì particolare significato strettamente connessi alle strutture storiche così come sono pervenute a noi (come, ad esempio, la corona collinare intorno a Firenze, la laguna veneta, le centuriazioni romane della Valpadana, la zona pugliese dei Trulli, ecc.).
Per quanto riguarda i singoli elementi attraverso i quali si attua la salva­guardia dell’organismo nel suo insieme, sono da prendere in considerazione, tanto gli elementi edilizi, quanto gli altri elementi costituenti gli spazi esterni (strade, piazze, ecc.) ed interni (cortili, giardini, spazi liberi, ecc.), ed altre strutture significanti (mura, porte, rocce, ecc), nonché eventuali elementi natu­rali che accompagnano l’insieme caratterizzandolo più o meno accentuatamente (contorni naturali, corsi d’acqua, singolarità geomorfologiche, ecc,).
Gli elementi edilizi che ne fanno parte vengono conservati non solo nei loro aspetti formali che ne qualificano l’espressione architettonica o ambientale, ma altresì nei loro caratteri tipologici in quanto espressione di funzioni che hanno caratterizzato nei tempo l’uso degli elementi stessi.
Ogni intervento di restauro va preceduto, ai fini dell’accertamento di tutti i valori urbanistici, architettonici, ambientali, tipologici, costruttivi, ecc. da un’at­tenta operazione di lettura storico-critica: i risultati della quale non sono volti  tanto a determinare una differenziazione  operativa -poiché su tutto il complesso definito come centro storico si dovrà  operare con criteri omogenei -  quanto piuttosto all’individuazione dei diversi gradi di intervento, a livello urba­nistico e a livello edilizio qualificandone il necessario  “risanamento conservativo”.
A questo proposito occorre precisare che per risanamento conservativo de­vesi intendere, anzitutto il mantenimento delle strutture viario-edilizie in gene­rale  (mantenimento  tracciato, conservazione maglia viaria, perimetro isolati, ecc.);   ed inoltre  il mantenimento dei caratteri  generali dell’ambiente che comportino la   conservazione   integrale delle emergenze monumentali ed ambientali più   signi­ficative  e l’adattamento degli altri elementi o singoli organismi alle esigenze di vita moderna, considerando solo eccezionali le sostituzioni, anche parziali  degli elementi stessi e solo nella misura in cui ciò sia compatibile  con la conservazione del carattere generale delle strutture del centro storico.
I principali tipi di intervento a livello urbanistico sono:
a)  “ristrutturazione urbanistica”: è intesa a verificarne ed eventualmente a correggerne laddove carenti, i rapporti con la struttura territoriale o urbana  con cui esso forma unità. Di particolare importanza è l’analisi  del ruolo territoriale  e funzionale che il centro storico svolge nel tempo ed al presente. Attenzione speciale in questo senso va posta alla analisi ed alla ristrutturazione dei rapporti esistenti fra centro storico e sviluppi urbanistici ed edilizi contemporanei, soprat­tutto dal punto di vista funzionale, con particolare riguardo alla compatibilità di funzioni direzionali.
L’intervento di ristrutturazione urbanistica dovrà attendere a liberare i centri  storici da quelle destinazioni funzionali, tecnologiche o, in generale, d’uso, che  provocano un effetto caotico e degradante degli stessi;
b) “riassetto viario” : va riferito all’analisi ed alla revisione dei collega­menti viari e dei flussi di traffici che ne investono la struttura, col fine preva­lente di ridurre gli aspetti patologici e ricondurre l’uso del centro storico a funzioni compatibili con le strutture di un tempo.
Da considerare la possibilità d’immissione delle attrezzature e di quei servizi  pubblici strettamente connessi alle esigenze di vita del centro;
c) “revisione dell’arredo urbano”: esso concerne le vie, le piazze e tutti gli spazi liberi esistenti (cortili, spazi interni, giardini, ecc.) ai fini di una omo­genea connessione tra edifici e spazi esterni.
I  principali testi di intervento  a livello edilizio sono:
1) “risanamento statico ed igienico degli  edifici”, tendente al mantenimento della loro struttura ed uso equilibrato della stessa; tale intervento va attuato secondo le tecniche, le modalità e le avvertenze di cui alle istruzioni per la condotta dei restauri architettonici. In questo tipo di intervento è dì particolare importanza il rispetto delle qualità tipologiche costruttive e funzionali dell’orga­nismo, evitando quelle trasformazioni che ne alterino i caratteri.
2) “rinnovamento funzionale”  degli organismi interni, da permettere sol­tanto là dove si presenti indispensabile ai fini del mantenimento in  uso dell’edi­ficio. In questo tipo di intervento è di importanza fondamentale il rispetto delle qualità tipologiche e costruttive degli edifici, proibendo tutti quegli interventi  che  ne alterino  i caratteri, così come gli svuotamenti della struttura edilizia o l’introduzione di funzioni che deformano eccessivamente  l’equilibrio tipologico-costruttivo dell’organismo.
Strumenti  operativi dei tipi di intervento sopra elencati sono essenzialmente :
Piani regolatori generali, ristrutturanti i rapporti tra centro storico e territorio e tra centro storico e città nel suo insieme;
Piani particolareggiati  relativi alla ristrutturazione del centro storico nei suoi elementi più significanti;
Piani esecutivi di comparto, estesi ad un isolato o ad un insieme di elementi  organicamente raggruppabili.





3.4   La   Convenzione  sulla protezione del patrimonio  culturale  e
        naturale  mondiale (1972)  e La carta  europea del patrimonio
        architettonico (1975)


Sempre nel 1972, il 16 novembre,   l’UNESCO  adottò una Convenzione  sulla protezione del patrimonio  culturale  e  naturale  mondiale, ratificata in Italia e resa esecutiva mediante la legge  6 aprile 1977, n. 184. Preso atto che i detti beni erano esposti a gravissimi pericoli di distruzione, e che spesso erano insufficientemente protetti a livello nazionale e che, infine, molti di essi presentavano un interesse eccezionale,  tale da richiedere la loro conservazione come parte integrante del patrimonio di tutta l’Umanità, i responsabili delle nazioni così riuniti, intesero approntare uno strumento volto a pianificare e rendere operante la cooperazione tra le nazioni, divenuto in Italia come in numerosi altri paesi, legislazione operante.

Il 1975  fu proclamato  Anno europeo del patrimonio architettonico. In tale contesto il Comitato dei monumenti  e dei siti (ICOMOS) del Consiglio d’Europa curò  tra le diverse

iniziative anche incontri internazionali di studio in diversi stati per dimostrare concretamente che era possibile intervenire su tessuti urbani o rurali di valore storico artistico o ambientale senza alterarne l’integrità e creando, al tempo stesso umane condizioni di vita.  In pratica il Consiglio d’Europa di fronte allo stato di pericolo in cui si trovavano  i centri storici rivelò la necessità di formare un largo movimento di opinione pubblica, capace di determinare  un’inversione di tendenza nei sistemi d’uso del territorio. Così a conclusione dell’anno ad Amsterdam nell’ambito del congresso sul patrimonio architettonico europeo che qui si svolse dal 21 al 25 ottobre, furono promulgate La carta  europea del patrimonio architettonico, adottata dal Consiglio d’Europa il 26 settembre del 1975, e  una  Dichiarazione,   da intendersi  insieme  come una vera e propria  Carta della Conservazione   integrata.    Infatti  una volta definito che “Il patrimonio architettonico europeo  non è formato soltanto dai nostri monumenti più importanti ma anche dagli insiemi degli edifici che costituiscono  la nostra città e i nostri villaggi tradizionali nel loro ambiente naturale o costruito”  e che la testimonianza del passato da esso documentata “... costituisce un ambiente essenziale   per l’equilibrio e lo sviluppo culturale dell’uomo, e un  “capitale spirituale, culturale, economico e sociale di valore insostituibile”, il Congresso  afferma l’intenzione degli stati membri di cooperare tra loro e con gli altri stati europei al fine di proteggerlo perché  “Il patrimonio architettonico costituisce il bene comune del nostro continente”.   Il migliore strumento di salvaguardia risulta essere l’uso congiunto del restauro e la ricerca di funzioni appropriate: cioè una conservazione integrata  che non escluda l’architettura contemporanea nei quartieri antichi ma tenga conto dell’ambiente esistente, rispettandone le proporzioni, la forma e la disposizione dei volumi  così come i materiali tradizionali.  La conservazione del patrimonio architettonico deve essere uno dei principali obiettivi della pianificazione urbana  e dell’assetto territoriale  e impegna  la responsabilità degli enti locali  ed esige la partecipazione dei cittadini. Attraverso un’analisi del tessuto degli insiemi urbani e rurali, gli enti locali debbono attribuire agli edifici funzioni che rispondano, rispettandone il carattere, alle attuali condizioni di vita e ne garantiscano perciò la sopravvivenza e  chiedere allo Stato lo stanziamento di fondi  specifici destinati  al restauro dei centri storici.

4. Istituzione ed  organizzazione del Ministero per i Beni Ambientali e
       Culturali  -   Legge   29 gennaio 1975, n.5   e   D. P. R     13 dicembre  1975  n. 805


In adempimento all’art. 9 della Costituzione ( La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica)  è stato istituito, col decreto legge 14 dicembre 1974, n. 657, convertito, con alcune modifiche, nella  legge 29 gennaio 1975 n. 5, il Ministero per i Beni Ambientali e Culturali .

Ad  esso  sono state devolute le attribuzioni, prima spettanti al Ministero per la pubblica Istruzione,
per le antichità e belle arti ,
per le accademie e le biblioteche
per  la diffusione della cultura, nonché quelle riguardanti la sicurezza del patrimonio culturale;

le attribuzioni prima spettanti alla Presidenza del Consiglio dei ministri relative:
ai servizi della discoteca di Stato
alla editoria  libraria e alla diffusione della cultura, cioè i servizi delle informazioni e delle proprietà  letteraria, artistica e scientifica di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 maggio 1973;

le attribuzioni prima spettanti  al Ministero dell’Interno, in materia di
f)   archivi di Stato, salvo quelle afferenti agli atti considerati come eccezione alla consultabilità dall’art. 21 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409.

Il nuovo Ministero in base all’ art.1  del D.P.R. 13 dicembre 1985, n. 805  “provvede alla tutela ed alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali, archeologici, storici, artistici e archivistici e librari secondo la legislazione vigente. Tutela ogni altro bene che non rientri nella competenza di altre amministrazioni statali o che gli sia attribuito da leggi successive.”

La struttura generale del ministero è costituita dal Consiglio  nazionale per i beni culturali e ambientali  presieduto dal Ministro, i cui  compiti consistono nell’esprimere pareri: sugli strumenti per la programmazione dello Stato nel campo dei beni culturali e ambientali e sull’attuazione dei medesimi;  su schemi di atti normativi  e  amministrativi  generali, su questioni di ordine generale; verifica, infine, i rapporti annuali degli uffici e istituti centrali. Oltre che dal Ministro il Consiglio è composto da novanta membri:


Rappresentanti   Ministeri 8 Rappresentanti  dei Comuni 10
Rappresentanti   Regioni 21 Rappresentanti  delle Province 3
Rappresentanti  docenti universitari 18 Rappresentanti  degli esperti di 6
Rappresentanti  personale   scientifico
e non dell’Amministrazione 24 fama nazionale

Nel Consiglio nazionale, infine, operano cinque comitati di settore: rispettivamente per i beni ambientali e architettonici, archeologici, storici e artistici, archivistici, librari e gli istituti culturali.

5.     Legislazione urbanistica e tutela dei beni culturali


Legge n. 765 del
 6 agosto 1967 Modifica la LEGGE URBANISTICA N. 1550 del 1942
Vi è una prima, timida  definizione di norme per la difesa dei centri storici.
L’art. 3, infatti sancisce la possibilità, in sede di approvazione del piano regolatore generale, di apportare modifiche di ufficio, riconosciute indispensabili per assicurare la tutela del paesaggio  e dei complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici.
L’art. 5, afferma l’obbligo di sottoporre preventivamente alla competente soprintendenza i  piani particolareggiati, in cui sono comprese cose immobili soggette alle  leggi  del 1939 (1089 e 1497)

L’art. 17, 5° comma, introduce una forma di salvaguardia di complessi immobiliari  ( e non soltando di singoli immobili) di particolare interesse:
Qualora l’agglomerato urbano rivesta  carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento o restauro senza alterazioni di volumi. Le areee libere sono inedificate fino all’approvazione del piano regolatore generale.


Legge n. 1187 del
19 novembre 1968 Ulteriori  e integrazioni alla Legge urbanistica 1550 del 1942  contiene un utile riferimento all’azione di tutela.
L’art. 1, infatti  include, esplicitamente, fra le cose che devono essere indicate nei piani regolatori, i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico.

D. M.  2 aprile 1968 Normativa  sugli standards urbanistici  emessa in base all’art. 12 commi 8 e 9) della legge 765/1967 .
Disposizioni con specifici riferimenti ai centri storici, circa i limiti di densità edilizia (art. 7), di altezza  (art. 8), degli edifici  e  distanza  tra i fabbricati (art. 9),  che non possono essere superati nell’elaborazione dei piani urbanistici comunali e che sono computati al netto di strutture aggiunte in epoca recente (soprastrutture, sopraelevazioni, aggiunte prive di valore storico-artistico)

Legge  28 gennaio 1977, n. 10 Legge sulla edificabilità  dei suoli.
Per gli interventi di restauro, risanamento conservativo  e di ristrutturazione, che non comportino  aumento delle superfici  utili di calpestio e mutamento delle destinazioni d’uso (art. 9) le concessioni  possono essere concesse a titolo gratuito; e  i proventi delle  stesse sono destinati, tra l’altro al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici (art.12).



Legge n. 457 del 5.8.1978, Norme sull’edilizia residenziale. TITOLO IV:
Norme generali per il recupro del patrimonio   edilizio ed urbanistico esistente



Premesso che le ristrutturazioni o recuperi edilizi o, ancora gli adeguamenti funzionali, non possono essere intesi come interventi di restauro. Si tratta al contrario di operazioni che ridefiniscono l’assetto distributivo interno di interi edifici, anche storici, ed  elementi nuovi (generalmente impianti) vengono inseriti in un contesto antico, certamente estraneo all’attuale tecnologia.
Tuttavia queste operazioni, per quanto in contrasto (quando si tratti di beni culturali) con la nostra sensibilità storica, risultano ancora oggi perfettamente lecite e regolamentate da  alcune  leggi. Infatti, per quanto riguarda la tutela, va precisato che di un edificio può esserci vincolato solo l’aspetto esterno, quando le caratteristiche dei prospetti, anche in opere cosiddette minori siano valutate, tuttavia, come dignitose testimonianze del gusto e  della cultura di un determinato periodo. E’ ovvio che tale distinzione tra facciata ed organismo architettonico non è più soddisfacente, nè  può, oggi, risultare culturalmente accettabile. Gli strumenti urbanistici, possono prevedere zone dove è possibile operare ristrutturazioni, o recuperi edilizi certamente da preferire alle cosiddette sostituzioni, spesso deterioranti l’omogeneità ­urbanistica e di assai dubbio risultato estetico.

La legge che disciplina tali tipi d’interventi è la n. 457 del 5.8.1978.  Gli articoli  che interessano i beni culturali sono il 27 e il 31.

All’art. 27, viene demandata   ai Comuni l’individuazione di zone, il cui degrado rende opportuno il recupero del patrimonio  edilizio  mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione ed alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso.
Le zone sono circoscritte dallo strumento urbanistico e le concessioni edilizie sono subordinate alla preventiva redazione di un piano di recupero. In sostanza, la legge prevede una pianificazione degli interventi regolamentati omogeneamente da un piano generale e, l’art. 31,  definisce anche le tipologie degli interventi stessi. Nell’elenco di questi, alla lettera «c» sono previste operazioni di restauro e ne rimane stabilita la qualità, esattamente come è stato esposto in questa sede: «interventi di restauro e di risanamento conservativo (sono)  quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento (restauro strutturale), il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei al­l’organismo edilizio (restauro conservativo)».
Tuttavia, questa non è che una delle tipologie degli interventi formanti oggetto di recupero edilizio, infatti, sempre all’art. 31, alla lettera «d», la legge identifica ed esplica la natura delle operazioni di ristrutturazione edilizia, che, in effetti, sono volte a (trasfor­mare gli organismi edilizi, mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente).
Il pericolo costituito dall’errata interpretazione dei presupposti e delle finalità degli interventi di recupero previsti dalla legge e dall’assenza di norme per la tutela del patrimonio edilizio di valore storico-artistico, è  rilevabile proprio nella classificazione degli interventi di recupero definiti all’art. 31 dove le opere di restauro e risanamento conservativo  sottintendono lavori  volti al riuso, al ripristino ed al rinnovo, mentre la “manutenzione” straordinaria contempla anche la possibilità di trasformare la struttura dell’edificio, per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari  e tecnologici, senza nessun accenno alle valenze storiche  o  artistiche  del patrimonio edilizio stesso.
E’ evidente che tali opere non sono  applicabili ad edifici soggetti a vincolo, o, comunque, di valore storico-artistico. Chia­rire tale concetto è determinante per una corretta redazione dei contenuti di un progetto di restauro, al fine di evitarne la presentazione alla competente soprintendenza, il cui parere non potrebbe che essere negativo. Si ribadisce, infatti, che molto spesso esiste ambiguità nell’uso del termine restauro, comprendendovi opere che, come è stato visto, non hanno nulla a che fare con esso.




La Carta Internazionale per la  Salvaguardia delle Città Storiche
Ratificata dall’Assemblea generale dell’ICOMOS  -  Washington, ottobre del 1987



Preambolo e definizioni.

Tutte le città del mondo, risultanti sia da uno sviluppo più o meno sponta­neo sia da un determinato progetto, sono le espressioni materiali della diver­sità delle società attraverso la storia e sono, per questo, tutte storiche.
La presente Carta concerne più precisamente le città, grandi o piccole, ed i centri o quartieri storici, con il loro ambiente naturale o costruito, che esprimono, oltre alla loro qualità di documento storico, i valori peculiari di ci­viltà urbane tradizionali. Ora, questi sono minacciati dal degrado, dalla de-strutturazione o meglio, distruzione, sotto l’effetto di un modo di urbanizza­zione nato nell’era industriale e che concerne oggi, universalmente, tutte le società.
Di fronte a questa situazione, spesso drammatica, che provoca perdite irreversibili di carattere culturale e sociale ed anche economico, il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti (ICOMOS) ha ritenuto necessario redi­gere una  “Carta internazionale per la salvaguardia delle città storiche”.
Questo nuovo testo, completando la «Carta internazionale sulla conser­vazione ed il restauro dei monumenti e dei siti» (Venezia, 1964), definisce i principi e gli obiettivi, i metodi e gli strumenti atti a salvaguardare la qualità delle città storiche, a favorire l’armonia della vita individuale e sociale ed a perpetuare l’insieme di beni anche modesti, che costituiscono la memoria del­l’umanità.
Come nel testo della Raccomandazione dell’UNESCO “concernente la salvaguardia degli insiemi storici o tradizionali ed il loro ruolo nella vita con­temporanea” (Varsavia-Nairobi, 1976) e come anche in altri strumenti interna­zionali, si intendono qui per “salvaguardia delle città storiche” le misure ne­cessarie sia alla loro protezione, alla loro conservazione ed al loro restauro che al loro sviluppo coerente ed al loro adattamento armonioso alla vita con­temporanea.

Principi e obiettivi

1) La salvaguardia delle città e quartieri storici dove  per  essere efficace far parte integrante di una politica coerente di sviluppo economico e sociale ed essere presa in considerazione nei piani di assetto del territorio e di urba­nistica a tutti i livelli.
2) I valori da preservare sono il carattere storico della città e l’insieme degli elementi materiali e spirituali che ne esprime l’immagine; in particolare:
a) la forma urbana definita dalla trama viaria e dalla suddivisione delle aree urbane;
b) le relazioni tra i diversi spazi urbani: spazi costruiti, spazi liberi, spazi verdi;
c) la forma e l’aspetto degli edifici (interno ed esterno), così come sono definiti dalla loro struttura, volume, stile, scala, materiale, colore e de­corazione;
d) le relazioni della città con il suo ambiente naturale o creato dal­l’uomo;
e) le vocazioni diverse della città acquisite nel corso della sua storia. Ogni attentato a tali valori comprometterebbe l’autenticità della città storica.
3) La partecipazione ed il coinvolgimento degli abitanti di tutta la città sono indispensabili al successo della salvaguardia. Essi devono, dunque, es­sere ricercati in ogni circostanza e favoriti dalla necessaria presa di co­scienza di tutte le generazioni. Non bisogna mai dimenticare che la salvaguar­dia delle città e dei quartieri storici concerne in primo luogo i loro abitanti.
4) Gli interventi su un quartiere o una città storica devono essere con­dotti con prudenza, metodo e rigore, evitando ogni dogmatismo ma tenendo in considerazione i problemi specifici a ciascun caso particolare.

Metodi e strumenti.

5) La pianificazione della salvaguardia delle città e dei quartieri storici deve essere preceduta da studi pluridisciplinari. Il piano di salvaguardia deve comprendere un’analisi dei dati, specialmente archeologici, storici, architetto­nici, tecnici, sociologici ed economici e deve definire i principali orientamenti e le modalità di azione da intraprendere a livello giuridico, amministrativo e finanziario. Esso dovrà tendere a definire un’articolazione armoniosa dei quar­tieri storici nell’insieme della città.
Il piano di salvaguardia deve individuare gli edifici o i gruppi di edifici da proteggere particolarmente, da conservare in determinate condizioni e da de­molire, in circostanze eccezionali. Lo stato dei luoghi prima di ciascun inter­vento sarà rigorosamente documentato. Il piano deve ricevere l’adesione degli abitanti.
6) In attesa dell’adozione di un piano di salvaguardia, le azioni necessa­rie alla conservazione devono essere prese nel rispetto dei principi e metodi della presente Carta e della Carta di Venezia.
7) La conservazione delle città e dei quartieri storici implica una manu­tenzione permanente del costruito.
8) Le funzioni nuove e le reti di infrastrutture richieste dalla città contem­poranea devono essere adattate alle specificità delle città storiche.
9)11 miglioramento dell’habitat deve costituire uno degli obiettivi fonda­mentali della salvaguardia.
10) NeI caso in cui si rendesse necessario effettuare trasformazioni di immobili o costruirne di nuovi, ciascuna aggiunta dovrà rispettare l’organizza­zione spaziale esistente, specialmente la suddivisione delle aree urbane e la sua scala, così come impongono la qualità e il valore d’insieme delle costru­zioni esistenti. L’introduzione di elementi di carattere contemporaneo, a con­dizione di non nuocere all’armonia dell’insieme, può contribuire al suo arric­chimento.
11) È importante concorrere ad una migliore conoscenza del passato delle città storiche favorendo le ricerche di archeologia urbana e la presenta­zione appropriata dei ritrovamenti, senza nuocere all’organizzazione generale, del tessuto urbano.
12) La circolazione dei veicoli deve essere strettamente regolamentata all’interno dei quartieri storici; le aree di parcheggio dovranno essere ordinate in modo da non degradare il loro aspetto né quello del loro ambiente.
13) Le grandi reti autostradali, previste nel quadro dell’assetto del territo­rio, non devono penetrare nelle città storiche, ma solamente facilitare il traf­fico di approccio a queste città e permetterne un accesso facile.
14) Misure preventive contro catastrofi naturali e contro tutti i disastri (specialmente l’inquinamento e le vibrazioni) devono essere prese a favore delle città storiche, per assicurare sia la salvaguardia del loro patrimonio che la sicurezza ed il benessere dei loro abitanti. I mezzi messi in opera per pre­venire o riparare gli effetti di tutte le calamità devono essere adattati al carat­tere specifico dei beni da salvaguardare.
15) Alfine di assicurare la partecipazione e il coinvolgirnento degli abi­tanti deve essere attuata un’informazione generale che inizia dall’età scolare. Deve essere favorita, l’azione delle associazioni di salvaguardia e infine de­vono essere prese misure finanziarie atte a facilitare la conservazione ed il restauro del costruito.
16) La salvaguardia esige che sia organizzata una formazione specializ­zata per tutte le professioni attinenti.
6.        Testo Unico  sui Beni Culturali
            D. Lgs.  29 ottobre 1999, n. 290

L’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352, “Disposizioni sui beni culturali”, ha assegnato al governo un delega per l’emanazione di un “testo unico nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali  e ambientali” e “ quelle che entreranno in vigore nei mesi successivi”.  A predisporre lo schema di questo testo unico fu costituita una apposita  commissione ministeriale, chiamata Commissione Ferri dal nome del presidente, l’avvocato di Stato Pier Giorgio Ferri. Dopo 2 anni di lavoro e, assolto  tutta la fase del procedimento consultivo, lo schema di decreto legislativo, è stato finalmente approvato dal Consiglio dei ministri,   il 22 ottobre 1999 ed è entrato in vigore l’11 gennaio 2000. Il titolo completo  del provvedimento è appunto: “Testo Unico delle disposizioni in materia di beni culturali  e ambientali,  a norma dell’art.1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352.”
  A partire da questa data dunque, la disciplina del patrimonio storico-artistico  nazionale  e del paesaggio, è racchiusa in questo corpus unitario che, sostituisce, tutta una serie di disposizioni frammentarie presenti in leggi e decreti legislativi che si sono avvicendati nel corso degli anni, e, soprattutto, le tre precedenti leggi fondamentali del settore: la L. 1089/1939 e 1497/1939  (Leggi Bottai)   e il decreto legislativo sugli archivi (D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409).
Le tre leggi, opportunamente riordinate,  costituiscono il cosiddetto  nucleo fondamentale  del testo unico, attorno al quale  si riuniscono e si fondono le varie norme sparse che compongono il settore.


Contenuto del Decreto legislativo
Il Testo Unico è costituito da 166 articoli raccolti sotto 2 Titoli : Titolo I Beni Culturali (artt.1:137), Titolo II Beni Paesaggistici e Ambientali. Del Titolo I  fanno parte  7 ulteriori divisioni che raggruppano così:

TITOLO I -  I  BENI CULTURALI

Capo I – Oggetto della tutela
Sezione I – Tipologia dei beni         (artt. 1 : 4)
Sezione II – Individuazione              (artt. 5 : 9)
Sezione III – Disposizioni generali e transitorie   (artt. 10 : 20)

Capo II – Conservazione
Sezione I – Controlli     (artt. 21 : 33)
Sezione II –   Restauro ed altri interventi     (artt. 34 :  48)
Sezione III –   Altre forme di protezione    (artt. 49 : 53)

Capo III – Circolazione in ambito nazionale
Sezione I – Alienazione e altri modi di trasmissione   (artt. 54 : 58)
Sezione II – Prelazione       (artt. 59 : 61)
Sezione III – Commercio     (artt. 62 : 64)

Capo IV – Circolazione in ambito  Internazionale
Sezione II – Esportazione dal  territorio dell’Unione europea  (artt. 71 : 72)
Sezione III – Restuituzione dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio di  uno
                     Stato membro dell’Unione europea.    (artt. 73 : 84)
Sezione I – Uscita e ingresso nel territorio nazionale   (artt. 65 : 70)


Capo V – Ritrovamenti e scoperte      ( artt. 85 : 90)

Capo VI – Valorizzazione  e  godimento pubblico  
Sezione I  –  Espropriazione     ( artt. 91 : 97 )
Sezione II  –  Fruizione     ( artt. 98 : 113 )
Sezione III  –  Uso individuale   ( artt. 114 : 117 )

Capo VII – Sanzioni  
Sezione I  –  Sanzioni penali  ( artt. 118:129 )
Sezione II  –  Sanzioni amministrative  ( artt. 130:137 )


TITOLO  II   -   BENI PAESAGGISTICI E AMBIENTALI

Capo I – Individuazione    (artt. 138:148)

Capo II – Gestione  dei  beni  (artt. 149:162)

Capo III – Sanzioni    penali e amministrative   (artt. 163:166)


6.1      Innovazioni   più   significative

Le innovazioni più significative si sono avute nel riordino e nelle semplificazioni dei procedimenti. Questo vale  in particolare per la strutturazione del procedimento di imposizione del vincolo di bene culturale che ora è chiamato  procedimento di “dichiarazione” ( a scanso di equivoci) di bene culturale. Così all’art. 6 vie distinto bene il provvedimento di  “dichiarazione” dalla sua “notificazione”

Nella questione della definizione di bene culturale,  pur  partendo dalle due linee di pensiero che si sono avute nel dibattito culturale degli ultimi trent’anni  e quindi :
da un lato quella della cosiddetta concezione reale e normativa dei bb.cc. secondo la quale sono beni culturali solo le categorie di cose espressamente individuabili in base a esistenti norme di legge;
dall’altro quella della cosiddetta concezione unitaria e omnicomprensiva, per cui sono beni culturali, tutte le testimonianze aventi valore di civiltà,
il testo unico è rimasto ancorato nel suo impianto alla concezione reale e normativa “... ma ha introdotto, quale momento di apertura  possibile verso la seconda linea di pensiero, l’art. 4”  dedicato alle nuove categorie di beni culturali  dispone, infatti, che “ Beni non ricompresi nelle categorie elencate agli articoli 2 e 3 sono individuati dalla legge come beni in quanto testimonianza di civiltà”. In pratica una norma ad  operatività non attuale e la cui utilizzazione è rimessa alle scelte del futuro legislatore.


La questione concernete il Restauro  è sempre stata fino alla approvazione del  T.U.   volutamente circoscritta  nei limiti della discrezionalità tecnica. Le carte del Restauro del 1938 e del 1972, con tutta la loro autorevolezza, erano dal punto di vista giuridico concepite  come mero “ canone fondamentale per le soprintendenze e per le iniziative da esse controllate”,  il testo Unico passa a giuridicizzare – seppure in termini piuttosto lati – queste carte, circoscrivendo il tutto allo stretto settore dei beni culturali: tanto basta ad avere effetti di particolare rilievo per quanto concerne l’erogazione dei contributi e la connessione con la tutela e la conservazione.


6.2     Conservazione  e restauro  nel Testo Unico

Di seguito si riportano  alcuni articoli  del TITOLO I (I BENI CULTURALI) Capo II – Conservazione , Sezione II – Restauro ed altri interventi , che riguardano più da vicino il  restauro architettonico.



(art. 34) Definizione di restauro
Ai fini del presente Capo per restauro si intende l’intervento diretto sulla cosa volto a mantenerne l’integrità materiale e ad assicurare la conservazione  e la protezione dei suoi valori culturali. Nel caso di b. immobili situati in zone sismiche, in base alla vigente normativa, il restauro comprende anche il miglioramento strutturale.
 
(art. 35)  Autorizzazione e approvazione del restauro
Il restauro è autorizzato o approvato a norma degli artt. 21 e 23
Con l’approvazione del progetto il soprintendente si pronuncia a richiesta dell’interessato sull’ammissibilità dell’intervento ai contributi statali, certificandone eventualmente il carattere necessario ai fini della concessione delle agevolazioni tributarie previste dalla legge.

(art. 36)  Procedure urbanistiche semplificate
Le disposizioni che escludono le procedure semplificate di controllo urbanistico-edilizio in relazione all'incidenza dell'intervento su beni culturali non si applicano ai lavori di restauro espressamente approvati a norma dell'articolo 23. A tal fine il soprintendente invia copia del progetto approvato al Comune interessato.

(art. 37)  Misure conservative
 (Legge 1 giugno 1939, n. 1089, artt. 14 e 16, commi 1 e 2)
1. Il Ministero ha facoltà di provvedere direttamente agli interventi necessari per assicurare  la conservazione ed evitare il deterioramento dei bb cc.
2. Il M. può imporre al proprietario l’esecuzione degli interventi previsti al comma 1. La spesa è posta a carico del proprietario, salvo quanto disposto dall’art. 41, comma 2.

(art. 38)  Procedura di esecuzione
(Decreto del Presidente della Repubblica 22 aprile 1994, n. 368, artt. 2 e 3)
1.Il Soprintendente redige una relazione tecnica e dichiara la necessità dei lavori da  eseguire.
2. La relazione tecnica è comunicata al proprietario, possessore o detentore del bene, che può far pervenire le sue osservazioni entro trenta giorni dall’avvenuta comunicazione.
3. Il Soprintendente se non ritiene necessaria l’esecuzione diretta dell’intervento assegna al proprietario un termine per la presentazione del progetto esecutivo dei lavori da effettuarsi conformemente alla relazione tecnica.
4. Il progetto presentato è approvato dal Soprintendente con le eventuali prescrizioni e con la fissazione del termine per l’inizio dei lavori. Per i beni immobili il progetto è inviato al Comune interessato, che può esprimere parere motivato entro 30 gg.
5. Se il proprietario non adempie all’obbligo di presentazione del progetto, o non provvede a modificarlo secondo le indicazioni del Soprintendente e nel termine fissato, o se il progetto è respinto, si procede con l’esecuzione diretta.
6. In caso di urgenza il soprintendente può adottare immediatamente le misure conservative.


(art. 41)  Intervento finanziario dello Stato
 (Legge 21 dicembre 1961, n. 1552, art. 3, comma 2; legge 5 giugno 1986, n. 253, art. 2)
1.Lo Stato ha facoltà di concorrere nella spesa sostenuta dal proprietario del bene culturale per l’esecuzione degli interventi di restauro per un ammontare non superiore alla metà della stessa.
2. Per gli interventi disposti a norma dell’art. 37 l’onere della spesa può sostenuto in tutto o in parte dallo Stato qualora si tratti di opere di particolare interesse, ovvero eseguite su beni in  uso o godimento pubblico.

(art. 42) Erogazione del contributo
( L. 1552  del 21/XII/1961 art. 3 c. 2 )
1. Il contributo è concesso dal Ministero a lavori ultimati e collaudati sulla spesa effettivamente sostenuta dal proprietario.
2. Nel caso di opere eseguite a norma dell’art. 37, c. 2. e 40 cc. 1 e 2 possono essere erogati acconti sulla base degli stati di avanzamento dei lavori regolarmente certificati.
3. Per la determinazione della percentuale del contributo si tiene conto di eventuali altri contributi pubblici.

(art. 43) -  Contributo in conto interessi
 (Legge 21 dicembre 1961, n. 1552, art. 3, comma 4 introdotto dalla legge 8 ottobre 1997, n. 352, art. 5, comma 1)
1. Lo Stato può concedere contributi in conto interessi sui mutui accordati da istituti di credito ai proprietari, possessori o detentori degli immobili sottoposti alle disposizioni di questo Titolo, per la realizzazione degli interventi di restauro approvati a norma dell'articolo 23.
2. Il Ministero autorizza la concessione del contributo nella misura massima corrispondente agli interessi calcolati ad un tasso annuo di sei punti percentuali sul capitale concesso a mutuo. Il mutuo è assistito da privilegio sugli immobili ai quali si riferisce.
3. Il contributo è corrisposto direttamente dall'amministrazione all'istituto di credito secondo modalità da stabilire con convenzioni.

(art. 44) -  Oneri a carico del proprietario
 (Legge 1 giugno 1939, n. 1089, art 17)
1. Per gli interventi eseguiti a norma degli articoli 37, comma 1, e 38, comma 5, il Ministero determina, applicando l'articolo 41, comma 2, l'ammontare della spesa da porre definitivamente a carico del proprietario.
2. Per la riscossione della somma determinata a norma del comma 1 si provvede nelle forme previste dalla normativa vigente in materia.

(art. 45)   -  Apertura al pubblico degli immobili restaurati
 (Legge 21 dicembre 1961, n. 1552, art. 3, comma 3; legge 8 ottobre 1997, n. 352, art. 5, comma 2)
1. Gli immobili di proprietà privata, restaurati a carico totale o parziale dello Stato, o per i quali siano stati concessi contributi in conto capitale o in conto interessi, restano accessibili al pubblico secondo modalità fissate, caso per caso, da apposite convenzioni da stipularsi fra il Ministero ed i singoli proprietari.
2. Le convenzioni stabiliscono i limiti temporali dell'obbligo di apertura al pubblico, tenendo conto della tipologia degli interventi, del valore artistico e storico degli immobili e dei beni in essi esistenti.

(art.  46) - Restauro di beni dello Stato in uso ad altra amministrazione
 (Decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, art. 33; decreto del Presidente della Repubblica 22 aprile 1994, n: 368, art. 4)
1. Il Ministero provvede alle esigenze di restauro dei beni culturali di proprietà dello Stato sentita l'amministrazione che li ha in uso o in consegna. Previo accordo con l'amministrazione interessata, la progettazione e l'esecuzione degli interventi su beni immobili può essere assunta dall'amministrazione medesima, ferma restando la competenza del Ministero all'approvazione del progetto ed alla vigilanza sui lavori.
2. Per i beni culturali degli enti pubblici territoriali, le misure previste dagli articoli 37 e 38 sono disposte, salvo i casi di assoluta urgenza, in base ad accordi o previe intese con l'ente interessato.
3. Per l'esecuzione degli interventi previsti dal comma 1 relativi a beni immobili il Ministero trasmette il progetto e comunica l'inizio dei lavori al Comune interessato.
4. Gli interventi di conservazione dei beni culturali che coinvolgono più soggetti pubblici e privati e che possono implicare decisioni istituzionali ed impegnare risorse finanziarie dello Stato, delle regioni e degli enti locali sono programmati, di norma, secondo le procedure previste dall'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142, dall'articolo 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e dagli articoli da 152 a 155 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112.

 (art.  47) - Custodia coattiva
 (Legge 1 giugno 1939, n. 1089, art. 14. comma 2; decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, artt. 33 e 43)
1. Il Ministero ha facoltà di far trasportare e temporaneamente custodire in pubblici istituti i beni culturali mobili al fine di garantirne la sicurezza, assicurarne la conservazione o impedirne il deterioramento, oppure quando ciò si renda necessario per l'esecuzione di un intervento di restauro, incluse le eventuali indagini preliminari e la documentazione dello stato di conservazione.